Amicizia, passione, imprenditorialità e un sogno. Dal kit fai da te con le pentole da cucina per produrre “qualche litro” al birrificio artigianale. A sentirla, nel bel mezzo della tempesta economica perfetta, la loro storia assume il valore della più grande delle sfide. E’ un mix di avventura, pazienza ed imprenditorialità che butta lo sguardo al di la della crisi. A distanza di alcuni anni quel sogno - quel “desiderio di costruire insieme” - li porterà fino a Norimberga dove il Birrificio degli Archi, con la loro birra artigianale Made in Viareggio, parteciperà all’European Beer Star 2011.
Non è ancora successo ma è come se “avessimo già vinto - racconta Roberto Cecchini, uno degli 8 birrai-imprenditori viareggini – siamo riusciti a trasformare quello che era un hobby comune, che ci ha sempre legato, in un’attività brassicola a livello imprenditoriale”. Qualche piccola soddisfazione, dopo parecchi sacrifici (e non solo economici) si inizia ad intravedere: la citazione nella guida Slow Food dei Birrifici d’Italia e ne La Via della Birra insieme ad un crescente interesse da parte di ristoranti, enoteche e pub. Il Birrificio Artigianale, parte originale della galassia di imprese di Cna, è (per ora) un investimento per il futuro, già perché gli 8 birrai viareggini di professione sono impiegati e liberi professionisti tra i 36 e 48 anni.
“Dedichiamo il nostro tempo libero al birrificio – spiega ancora Cecchini – Ognuno ha il suo ruolo e il suo compito. Ma anche il proprio lavoro. Il birrificio è un modo per restare uniti e coltivare la nostra amicizia che in alcuni casi dura dall’infanzia. Quest’anno chiuderemo poco più che in pareggio ed è già un grande risultato. Litighiamo? Non accade mai. Discutiamo e questo è sano. Per decidere quale birra inviare all’European Beer Star – racconta ancora - ci abbiamo messo un mese”.
Le loro birre prodotte con metodo artigianale tradizionale si ispirano allo spirito goliardico del Carnevale di Viareggio (la classica bitter ale inglese “Baccanale” ispirata alle inglesi Bitter Ale, con un tocco di forte originalità dato dall'aromatizzazione con il miele di castagno), ai suoi celebri luoghi come la rossa “Regia” che richiama la storica strada, ai suoi straordinari personaggi (la stout “Ossessa” dedicata al famoso quadro di Lorenzo Viani). La prima etichetta porta addirittura l’età della nascita del primo agglomerato di Viareggio: “1701”.
E’ una birra chiara, classica, “che si lascia bere”, alla kolsch tedesca. E’ la prima birra firmata dal “Birrificio degli Archi”. L’ultima nata in casa è la Atman in onore del ristorante di Pescia che l’ha battezzata per primo diretto dallo chef Igles Corelli. Già pronta la speciale produzione celebrativa per il prossimo Natale che i ragazzi degli Archi hanno deciso di chiamare Duman (in richiamo al calendario celtico). Solo 800 gli “esemplari”. “Non sono birre industriali– sottolinea subito – ma nemmeno birre esclusive.
Non sono necessariamente per pochi, direi l’esatto contrario. Cerchiamo di produrre una birra artigianale che rispecchi le nostre esperienze e i nostri obiettivi. Usiamo le foglie di luppolo vere e malto di qualità. Il prezzo è giustificato dall’artigianalità della produzione e dai metodi”. Tutto nasce in Via Cairoli, nel cuore della Viareggio storica dove non penseresti mai che lì, in quel fondo con le tapparelle rosse, possa trovare spazio un birrificio. “Dalla macinazione all’etichettatura – mostra Roberto – tutto nasce qui.
Persino il sito è realizzato in casa. Tanta manualità e artigianalità, zero o quasi tecnologia; abbiamo scelto un procedimento il più possibile vicino al modello anglosassone: più faticoso perché ogni step richiede la presenza costante ma anche più divertente. Abbiamo iniziato producendo piccole quantità per l’autoconsumo con pentole da cucina. Oggi riusciamo a produrre fino 2 mila litri al mese distribuiti in due linee: una da mezzo litro e l’altra da 0,75”. Inevitabile il legame con il territorio: “E’ molto forte – conclude – qui siamo cresciuti, abitiamo e lavoriamo.
La Birra degli Archi è un omaggio alla nostra città”. Andrea Berti