Firenze, 5 luglio 2011– “A” come “aceto”, di vino ovviamente, ma anche come “aglio”, ingrediente base di piatti memorabili. O come “Artusi”, il gastronomo di Forlimpopoli vero padre fondatore della cucina di casa nostra. E poi “B” come “brodo” o magari come “brigidini”, quelli di Lamporecchio, “C” come “cacciucco” e così via... La Toscana ha un suo alfabeto gastronomico, ed è Pier Francesco Listri a illustrarlo nel suo Alfabeto del pane (e companatico) (pp.
88, euro 8). Edito da Mauro Pagliai nella caratteristica collana «I non ricettari», i cui titoli hanno formato pentagonale, il libro uscirà il 15 luglio. Parlare di cucina significa alludere a un mondo di parole, di simboli e di rituali, e non solo a una tavola apparecchiata. Listri, storica firma di quotidiani toscani, voce della RAI ed esperto di storia e tradizioni regionali, non vuole offrire un elenco di ricette o di consigli, ma qualcosa di più e di più originale: l’intero mondo alimentare di una regione, gli spiriti della tradizione, i diffusi valori dei cibi, il rapporto stretto e misterioso tra cibi e parole.
Lo fa realizzando una panoramica sui generis che salta dal caffè alla storia del Chianti, da Lorenzo il Magnifico a Richard Ginori, dalla storia degli etruschi al cibo biologico. Agile perché breve, pratico perché organizzato come un dizionario, il suo Alfabeto non è un trattato ma un viaggio verso piccole e curiose scoperte, un lungo desinare simbolico, una rilettura memoriale, un glossario vecchio e nuovo intorno al pane e ai relativi companatici. Ma soprattutto un viaggio nella memoria per scoprire che, in un’epoca di rinascita e rivalutazione delle cucine locali, quella toscana afferma ancora una volta il suo primato indiscusso. Gherardo Del Lungo
