Dagli splendori di corte al lusso borghese

Alla Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti una mostra dedicata all'Opificio delle Pietre Dure nell'Italia unita

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
17 maggio 2011 14:53
Dagli splendori di corte al lusso borghese

All’ Esposizione Nazionale del 1861, che a Firenze celebrò l'unità d’Italia, partecipò con lavori antichi e moderni in pietre dure la ex-Manifattura granducale, che di lì a poco avrebbe mutato il suo nome in Opificio delle Pietre Dure. L' istituto creato nel 1588 nell'ex-convento di San Niccolò dal Granduca Ferdinando I de' Medici come manifattura di opere in pietre dure, la cosiddetta arte del commesso fiorentino,con l'avvento del regno d'Italia dovette modificare il suo status di laboratorio al servizio esclusivo della corte, per aprirsi al mercato e offrire le sue sempre eccellenti creazioni a una clientela privata.

fra la quale non mancarono neanche committenti regali, come lo zar di Russia e Ludwig II di Baviera. Adesso la mostra “Dagli splendori di corte al lusso borghese”, allestita alla Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti sino all'11 settembre,intende evidenziare il nuovo percorso apertosi dopo il 1861 per la brillante manifattura artistica, che era fiorita all' ombra della corte granducale di Toscana. La lavorazione tipica dell'Opificio è stata , per secoli, il cosiddetto “commesso fiorentino”, che a differenza dell'arte del mosaico non usa tessere geometriche, ma intaglia pezzi più grandi, scelti per colore, opacità, brillantezza e sfumature delle venature, per creare un disegno figurato.

Si sono realizzate così opere d'arte di straordinario valore, dai mobili a oggetti vari, fino a copie perfette di pitture da appendere, che oggi arricchiscono i musei di tutto il mondo testimoniando la genialità e la tecnica degli artigiani fiorentini. La mostra che si collega alle iniziative per i 150 anni dell'unità d'Italia,espone le creazioni che l'Opificio delle Pietre Dure andò realizzando negli ultimi decenni dell' Ottocento, anche quando destinate al ceto borghese allora emergente si distinsero per ricchezza dei materiali e squisitezza tecnica.

Affascinanti le opere esposte dai pannelli parietali (notevoli il “Tralcio di rose su graticcio di canne” e la “Coppa di frutta e fiori” eseguita per l’altare della cappella dei principi su disegno di Niccolò Betti nel 1864) ai piani di tavolo, ai cofanetti, alle sculture, alle ante per armadi (come un “Vaso con fiori” del 1879), alle fioriere da sala e altri oggetti di arredo, periodicamente inviate alle esposizioni internazionali a partire da quella che nel 1861 celebrò proprio a Firenze la riunificazione della penisola.

La mostra di grande raffinatezza evidenzia lo splendore cromatico delle pietre rare e anche le invenzioni decorative aggiornate al gusto artistico del tempo, delle arti applicate come della pittura e della scultura. “Questa mostra è la prosecuzione di un percorso che ha già avuto due tappe precedenti: una nel 1988 che celebrava i 400 anni della nascita dell'Opificio incentrata sulla produzione medicea e l'altra del 2006 alla Meridiana sul periodo Lorenese che era l'anticamera di quest'ultima”, ha spiegato Annamaria Giusti, curatrice dell'esposizione e del bel catalogo ,edito da Sillabe, che correda la mostra.

L'esposizione è la prima dedicata all'ultima attività artistica dell'Opificio, sinora rimasta un po' al margine degli studi ed esposizioni dedicati alla sua storia plurisecolare, e ne rivela il luminoso tramonto, che non fu declino. Arte elitaria, orgogliosamente fedele alla sua grande tradizione, rappresentata per prototipi in apertura della mostra, il commesso in pietre dure non volle né poté adeguarsi alle esigenze del mercato. l'Opificio scelse di trasferire il suo tesoro di ineguagliata manualità e le innovative tecnologie introdotte in laboratorio, e documentate in mostra, alle nuove esigenze di conservazione del patrimonio artistico nazionale.

Adesso l'Opificio è uno degli istituti più importanti nel campo del restauro, non solo a livello nazionale, ma anche mondiale. Alessandro Lazzeri

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