Debutta domani alla Pergola grande evento fiorentino: "Il Principe della Gioventù" l’OperaMusical di Riz Ortolani con la regia e coreografie di Giuliano Peparini, che ha dato al lavoro un impulso di creatività moderna e ha rivoluzionato il concetto teatrale, come nel suo stile, con intriganti situazioni scenografiche ed effetti speciali. Ortolani ha liberamente tratto il soggetto dalla Congiura de’ Pazzi, l’episodio storico che nella Firenze del 1478 costò la vita al giovanissimo Giuliano de’ Medici.
E’ un progetto innovativo e originale di teatro contemporaneo internazionale affidato alla regia del talentuoso ballerino e coreografo Giuliano Peparini, tra i più innovativi della sua generazione. Le appassionate e forti musiche di Riz Ortolani, sostenute da potenti orchestrazioni corali, danno vita alla intensa storia interpretata da un cast di attori-cantanti bravissimi e talentuosi che valorizzano il lavoro in maniera coinvolgente: sono Graziano Galatone per il personaggio di Lorenzo il Magnifico, Francesco Capodacqua per Giuliano, Sandro Querci per Franceschino de’ Pazzi, Francesca Colapietro per Fioretta Gorini , Silvia Querci per Cencia, Marco Manca per Pico della Mirandola, Mario Zinno per Frà Arlotto e Piero Di Blasio per Pulci il Poeta.
Il corpo di ballo è composto da dodici ragazzi e dieci ragazze, tutti italiani.
Romano, 37 anni, ex assistente di Roland Petit ed Etoile al Ballet National di Marsiglia, in Italia è tuttora ignoto ai più, ma è celebre in Francia (vive a Parigi), Stati Uniti e ora perfino in Cina Ha infatti debuttato a Macao all’inizio dell’autunno con The House of Dancing Water, una produzione stabile da 200 milioni di euro, il maggior show acquatico del mondo: 150 ballerini, acrobati, motociclisti, tuffatori olimpici, 80 motori, 100 tecnici. E intanto a Las Vegas, Wynn Hotel, il suo analogo kolossal Le Rêve ha già superato le 2000 repliche. In Italia Peparini ha lavorato occasionalmente con i balletti della Scala e del San Carlo, ma oggi eccolo di nuovo in patria alla guida di un progetto che rappresenta un concetto tanto diverso quanto innovativo di teatro musicale contemporaneo internazionale.
Debutto mondiale a Firenze, Teatro della Pergola, il 7 dicembre prossimo. “Macao”, spiega Peparini, “è l’esempio di un teatro di dimensioni galattiche dove danza e macchine producono concerti spettacolari, e anche assai pericolosi, di corpi, colori, ritmi e meraviglie. Il Principe è invece una creatura intima, che offre piaceri egoistici: nessun rischio fisico, bensì la certezza che, se dovesse non piacere, il solo a rimetterci è il regista”. Che cosa le hanno suggerito le musiche del maestro Ortolani? “Ovviamente prima di accettare ho voluto ascoltarle.
Era importante capire che cosa ne potevo trarre, le sensazioni generali, la ricaduta sui singoli personaggi, come e perché rendere Giuliano o il suo assassino Franceschino de’ Pazzi. Dire che il contatto è stato immediato è pura verità. Un vero colpo di fulmine musicale che mi ha trasmesso la voglia di mettermi subito al lavoro. Per questo non ho esitato”. Quindi ha adattato le coreografie allo spartito o viceversa? “Con Ortolani è stato facile trovare l’accordo.
Ne abbiamo parlato e lui ha capito le mie esigenze. Ma ci siamo limitati a montare diversamente alcune sequenze musicali”. Può descrivere la scenografia? Che cosa ha ideato per raccontare la storia d’amore tra un principe e una popolana in un tragico contesto storico? Come ha reso questa atmosfera? “Le luci hanno un ruolo fondamentale, dunque ho scelto come collaboratore uno specialista come Gilles Papain, projection designer molto noto in Francia. In sé la scena è assai semplice: c’è solo una base fissa tridimensionale, che rappresenta la cupola della cattedrale di Firenze S.
Maria del Fiore, all’epoca la chiesa più grande della cristianità, dove Giuliano fu trucidato a pugnalate durante la Messa, mentre il fratello Lorenzo il Magnifico riuscì a stento a salvarsi. Il resto è costituito dal fondale e dal drappo di tulle che sostituisce il sipario, dove vengono proiettate immagini diverse, video, dipinti, fotografie, testi, composizioni che abbiamo elaborato per arricchire l’interpretazione dei vari momenti della vicenda. Un gioco di luci e ombre molto suggestivo”. E i costumi? Sicuramente fogge e colori rinascimentali. “Si tratta di citazioni minimaliste della moda dell’epoca.
Sono di Frédéric Olivier, costumista straordinario, uno studioso attentissimo ai dettagli. Credo che piaceranno molto”. Adesso il cast, cantanti e balletto. “Giovanissimi erano i personaggi storici, giovane è dunque il cast. Gli otto characters hanno il volto e la voce di cantanti professionisti bravissimi. I principali sono Graziano Galatone per Lorenzo il Magnifico, Francesco Capodacqua per Giuliano, Francesca Colapietro per Fioretta Gorini e Sandro Querci per Franceschino de’ Pazzi.
Il balletto è invece composto da dieci ragazzi e altrettante ragazze, tutti italiani, ma di varia scuola: alcuni vengono dalla danza classica, altri dalla break dance, altri dal contemporaneo. Quello che mi piace in questi spettacoli è vedere le loro diverse reazioni a uno stile più attuale, perché ognuno lo interpreta secondo gli automatismi acquisiti. Così nasce qualcosa di diverso e di imprevisto”. In definitiva quale stile di danza ha adottato? “In realtà abbiamo cercato di mischiare classico, moderno e contemporaneo, che corrisponde alla mia visione.
Purtroppo i coreografi intendono spesso il concetto di contemporaneo in modo troppo cervellotico, mentre significa semplicemente quello che si fa oggi. Dunque ognuno ha il proprio stile” E qual è lo stile Peparini? “Facile: sposare l’esperienza fatta nella danza classica a quella con l’American Ballet. Franco Dragone, con cui ho creato gli spettacoli di Macao e Las Vegas stabilendo una fantastica collaborazione, viene anche lui dal Cirque du Soleil e insieme abbiamo sperimentato quanto sia importante sfruttare al massimo ciò che il contesto e le persone possono dare.
E’ sbagliato lavorare con un’idea preconcetta, perché solo quando vai in scena scopri dove puoi arrivare: ti ci porta l’artista. In questo Principe abbiamo una storia che impone una gabbia, ma per il resto sono aperto alle potenzialità del cast”. Quindi niente pugno di ferro, ma dialogo? “Esatto. Nella mia carriera ho lavorato con dei tiranni, che mi hanno insegnato molto, ma facendomi anche molto soffrire. Per reazione sono quindi portato ai rapporti soft, di massimo rispetto.
Cerco sempre di creare un clima tranquillo, in cui si possa lavorare senza tensioni soffocanti. E devo dire che le persone ti ripagano impegnandosi spesso oltre il necessario. Anche nelle prove del Principe in pochi giorni abbiamo fatto progressi straordinari malgrado la difficoltà di molte sequenze”. Venti ballerini non sono pochi per lei abituato a ben altre equipe? “Sono pochi in apparenza. Sulla scena sembrano in realtà tre o quattro volte tanti grazie alle coreografie.
La scuola francese ha dato vita a una vague di registi che interpretano la mise en scene in modo molto fisico, dove la ricerca dell’equilibrio è affidata alla simmetria delle composizioni e dei movimenti. Anche quella di Roland Petit è una scuola a volte molto geometrica". Trattandosi di Rinascimento si è ispirato a qualche danza dell’epoca? Riz Ortolani ha scritto una Pavana molto originale lontana dai consueti schemi? “Certo. Con Veronica Peparini (mia sorella), che ha curato con me le coreografie, abbiamo per esempio reinterpretato la Pavana in chiave moderna, danzata (i maschi) indossando una maschera che accentua l’aspetto grottesco di una società classista in cui tra popolo e principi prosperava anche una classe di nuovi ricchi un po’ burini.
Poi il gioco del calcio, che Firenze ha riscoperto in epoca fascista chiamandolo calcio in costume o calcio storico. In questa coreografia abbiamo cercato di usare il pallone come pretesto per dar sfogo alla violenza, come scusa per combattere”. In qualche modo "Il Principe della Gioventù" riassume la sua storia professionale. Ovvero è possibile rintracciarvi molte citazioni coreografiche specifiche che riconducono al suo bagaglio internazionale. Può spiegare quali? “Direi che c’è un prima e un dopo Macao.
Quegli spettacoli sono una grande scuola. Trattandosi di una maxi produzione, si pensa che con un budget di 200 milioni di euro sia tutto semplice. Invece è l’opposto, perché le aspettative, anche quelle del pubblico, sono proporzionate all’investimento. Per non parlare dei rischi per gli stessi attori. In The House of Dancing Water ci sono scene pericolosissime. C’è un inseguimento con sette motociclette, in un ambiente pieno di umidità e di cavi elettrici, più rischioso di una gara di Moto GP.
Dunque c’è un’esigenza di coordinamento e precisione massima. Non credo che vedremo mai uno spettacolo simile in Europa. Ma ciò che un regista e coreografo impara in quelle condizioni non può che avere felici ricadute nel nostro teatro”.