di Nicola Novelli Il paradosso politico di Gianfranco Fini è che cade vittima della sua incompleta svolta di Fiuggi, che gli si ritorce contro. La svolta è sì completata a livello di classe dirigente, totalmente laicizzata nell'adesione al PdL. Ma l'elettore medio di destra no, è rimasto quello stesso del MSI e della destra democristiana, convinto che in un partito basti un uomo solo a pensare per tutti, sulla base di un dogma, vivo dal 25 aprile 1945, che ha decretato fedeltà assoluta nelle decisioni del leader dello schieramento, Silvio Berlusconi. Forse altrimenti sarebbe andata, se a Fiuggi si fosse saputo distinguere tra il fascismo del 25 luglio e quello dell'8 settembre, tra il gran consiglio e i repubblichini, dalle cui ceneri, è bene ricordarlo golpiste e rivoluzionarie, la destra italiana si rifondò.
Per non parlare delle antiche anime del Fascismo, quelle pre 1921, il Nazionalismo, il Dannunzianesimo, ecc. Così, in quest'impasto di generica modernizzazione, occhieggiante ai modelli dell'Europa del nord, Gianfranco Fini rischia il destino di Galeazzo Ciano, lo spettro livornese del fascismo, condannato a morte per lesa maestà del padre-padrone. In questo Fini ha l'attenuante di un centro e di una sinistra italiana inerti che gli tendono la mano solo ora, fuori tempo massimo, quando anche la scialuppa di salvataggio rischia di affondare.
Del resto è sempre stato così: per decenni la scena politica italiana è stata dominata dal dibattito DC-PSI-PCI, con una destra nell'angolo causa conventio ad excludendum. Prendete il caso della Nuova Destra di Marco Tarchi, i cui meriti, ancora oggi non gli vengono ricosciuti a sufficienza nemmeno nella sua Firenze. Marco Tarchi, figlio della borghesia fiorentina, formidabile bibliofilo, allievo alla Facoltà di Scienze Politiche del professor Fisichella, poi ricercatore e docente di Politologia all'Università degli studi di Firenze, è stato a cavallo tra anni '70 e '80 animatore della Nuova Destra italiana, nel cui ambito ha ideato e diretto riviste come “Diorama”.
Da allora, convinto della necessità di superare le categorie Destra-Sinistra ha promosso in una ristretta cerchia di pubblico la riflessione su temi quali il conservatorismo, l'egualitarismo, il populismo, l'americanismo, ma confrontandosi con interlocutori quali Massimo Cacciari e Alex Langer su ecologia e bioetica, globalizzazione e nuove relazioni internazionali. Eppure state certi che se vi rivolgete agli eletti delle nostre assemblee locali pochi sapranno spiegarvi chi sia questo intellettuale che vive e lavora a Firenze da sempre. Firenze è una madre avara di riconoscimenti per i propri figli, tanto più se viventi.
Eppure si dovrebbe riconscere che già negli anni '70 Marco Tarchi, con la propria riflessione critica sullo scenario partitico nazionale, attraverso convegni, pubblicazioni e pure i mitizzati Campi Hobbit, ha di fatto contribuito a sottrarre migliaia di attivisti dall'allora prevalente logica della violenza politica, o addirittura della lotta armata. Proprio su quegli anni lo studioso fiorentino si è riaffacciato con un intenso volume, edito da Vallecchi, di cui ha curato la pubblicazione nelle settimane scorse.
Si tratta di “La rivoluzione impossibile, Dai Campi Hobbit alla Nuova destra”, che attraverso la ripubblicazione di scritti di quegli anni e la ricostruzione posteriore dello stesso Tarchi, racconta chi erano, cosa pensavano e come agivano a vent’anni gli “uomini nuovi” della destra italiana, passati dalla marginalità del Movimento sociale ai fasti del governo. Con questo libro Marco Tarchi intende colmare un vuoto, ricostruendo il tracciato di un progetto, prima politico e poi metapolitico che ebbe inizio da piccole iniziative come il giornale underground “La voce della fogna”, si sviluppò attraverso i Campi Hobbit ed ebbe seguito in uno scontro politico interno al Msi, per poi staccarsi e procedere autonomamente dando impulso alla cosiddetta “Nuova Destra”.
La prima mutazione genetica della destra radicale si mostra infatti a metà degli anni '70 sotto forma di dinamica sociale del mondo giovanile, proprio quando il FUAN fiorentino tende per primo l'orecchio agli echi della Grece francese. Da allora, sotto forma di letteratura, musica e teatro si comincia a parlare anche in Italia delle opere di Alain de Benoist. Già nei primi anni '80, sconfitti nel dissidio interno al MSI/FUAN, quelle centiaia di giovani che hanno dato vita al fenomeno della Nuova Destra migrano verso una dimensione metapolitica che offre loro la possibilità di confrontarsi, come nel convegno fiorentino del novembre 1982, con intellettuali di sinistra, ma senza pregiudiziali, quali Massimo Cacciari.
Nulla a che fare con la nostalgia missina per il mussolinismo, che sembra affliggere tanta gente ancor oggi, sia pur per interposta persona. Così, in questo confronto odierno tra schieramenti a tenuta stagna e di fatto reciprocamente autolegittimanti, è bello passeggiare a ritroso e riscoprire i rovesciamenti di fronte prefigurati vent'anni fa nella per lo più ignara Firenze. Oppure ricordare che alla petizione contro la guerra in Kosovo di Alain de Benoist fu promossa in Italia tra gli altri dai fiorentini Marco Tarchi e Franco Cardini.