Alla luce delle preoccupazioni espresse dagli editori durante la presentazione dell'ultimo rapporto Fieg sulla stampa italiana la previsione di Philip Meyer, da cui trae spunto anche il titolo del suo volume, deve essere corretta al 'ribasso'?
“No, non credo. Gli editori italiani hanno cominciato semplicemente a prendere atto di una situazione che nessuno forse voleva dichiarare per primo e cioè la perdita di copie e di fatturato pubblicitario di tutti i maggiori quotidiani. Resta gravissimo il ritardo dell'Italia rispetto agli Stati Uniti o alla Gran Bretagna, paesi nei quali l'integrazione carta stampata - web è già avvenuta nei maggiori quotidiani.
Le redazioni continuano a non affrontare il problema, mentre invece non c'è più tempo da perdere. I giornali hanno ancora un futuro grazie alla credibilità che si sono conquistati presso i loro lettori, ma devono trasferire rapidamente questa credibilità online se non vogliono essere spazzati via”.
Eppure in Italia (e nel mondo) si legge, i fruitori di giornali crescono di numero (dati Censis e Audipress). Dove sta l'inghippo?
“Sta nel fatto che si sono cominciate a conteggiare le copie dei giornali gratuiti.
I lettori aumentano, ma diminuisce il numero di copie vendute. La gente non ha mai voluto essere così informata come oggi. Il problema non sono i lettori, ma un modello di business (quello di un giornale costoso da fare) è finito. Il costo non più essere riversato sui cittadini, che hanno altri modi di informarsi. Ad esempio, senza tirare in ballo il web o i telefonini proprio con i gratuiti”.
Alla Fiera del Libro di Torino il suo giornale, La Stampa, ha messo in mostra la versione e-paper.
Sarà questa, per usare lo slogan pubblicitario che l'accompagnava, "l'evoluzione della specie"?
“Può darsi. Ma l'e-paper va progettato per trovare spazio in un piccolo schermo. Nessuno finora è andato molto avanti nella sperimentazione, perché è assurdo mettere su un foglio elettronico il giornale che si fa su carta, a meno che non si adatti il progetto del giornale su carta al foglio elettronico. Credo comunque che il foglio elettronico sia già superato dalla possibilità offerta dalla tecnologia.
Il web che stanno per sperimentare al Cern sarà 10 mila volte più potente di quello attuale e arriverà tra pochi mesi, non anni. Cambierà ancora una volta tutto e a farne le spese saranno i sistemi più vecchi, come quelli di stampare carta e trasportarla con camion ai punti di vendita mentre le informazioni viaggiano ormai alla velocità della luce”.
E l'evoluzione della specie 'giornalista' dove ci porterà?
“Saranno sempre di più e sempre meno pagati. Milioni di cittadini impareranno a fare i giornalisti e diventeranno protagonisti dell'informazione grazie al web e ai telefonini.
I giornalisti professionisti hanno un solo modo di salvarsi: tornare a fare il loro mestiere rispondendo a principi etici e lavorando nell'interesse della comunità, con una agenda propria svincolata dal mainstream della comunicazione che viaggerà in tv o sul web. L'informazione intesa come servizio pubblico è già transitata dai giornali ai comizi di Beppe Grillo o ai film di Michael Moore. E questa è una omissione che i giornalisti potrebbero pagare cara. Se non torneranno a raddrizzare la schiena, qualcun altro farà il loro lavoro.
Inoltre mi pare che la riduzione degli stipendi e la mancanza di una certezza del posto di lavoro impedirà che le persone più brillanti decidano di fare questo mestiere. Una volta era abituale che un laureato alla Bocconi facesse il giornalista, ma ora non sarà più così e avremo una qualità sempre minore anche nei giornali a causa dei tagli nei costi degli editori”.
Vittorio Sabadin è stato vicedirettore del quotidiano torinese La Stampa. Il suo volume "L'ultima copia del New York Times" pubblicato un anno fa circa da Donzelli è 'ospite' fisso nelle redazioni dei giornali di casa nostra.