FIRENZE - Sono circa 250 milioni i bambini fra i 5 e i 14 anni che lavorano nei paesi in via di sviluppo. Di questi, 179 milioni sono sottoposti a forme di lavoro dannose per la loro salute fisica e psichica; 8,4 milioni sarebbero sottoposti a forme di schiavitù, lavori forzati oppure costretti a combattere, a prostituirsi o ad altre attività illecite; 120 milioni lavorano a tempo pieno e 130 milioni part time. Il 61% di questo vero e proprio esercito si trova in Asia, il 32% in Africa e il 7% in America Latina.
Ma non è tutto. Circa 5 milioni di bambini lavorano nelle Repubbliche dell'Europa Orientale e oltre 1 milione in Turchia.
Così, secondo l'ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) si presentava alla fine del 2002 la geografia del lavoro minorile. Un quadro drammatico, che non risparmia nemmeno l'Italia e i cosiddetti paesi ricchi. Secondo il Rapporto ILO 2002 sarebbero circa 2,5 milioni i bambini economicamente attivi nei paesi industrializzati. Pur nella difficoltà di misurare un fenomeno che è per definizione sommerso, l'Istat ha cercato di quantificarlo nel nostro paese.
In Italia i minori economicamente attivi fra i 7 e i 14 anni sono circa 144.000 di cui oltre 30.000 a tempo pieno. Secondo una ricerca presentata da Ires-Cgil invece, il numero dei bambini sfruttati sarebbe fra i 360.000 e i 400.000.
Il fenomeno appare in buona parte legato alla crescita dell'immigrazione extracomunitaria ed è diffuso, sia pure con motivazioni e caratteristiche diverse, in tutto il paese, nel Sud come nel Nord-Est. La ricerca Istat non rileva però i bambini rom e i minori stranieri presenti in Italia.
E' quindi ipotizzabile una sottostima del fenomeno che resta in gran parte invisibile anche perché, spesso, lo sfruttamento dei bambini è ad opera dei genitori stessi, all'interno di laboratori clandestini.
E' quasi superfluo ricordare che, in Italia, il lavoro minorile è vietato per tutti coloro che hanno meno di 15 anni, mentre la legge 977 del 1967 fa divieto di lavori usuranti e pericolosi per i giovani fra i 15 e i 18 anni, che non possono lavorare più di 8 ore al giorno e oltre 40 ore a settimana.
A livello internazionale esiste, a partire dalla fondamentale Carta sociale europea del 1961, una vasta normativa sul tema. E' del 1994 la prima disciplina organica del lavoro minorile (direttiva UE del 22 giugno '94), fino ad arrivare, nel 2000, alla Dichiarazione europea dei diritti del fanciullo.
In molti casi i bambini che lavorano frequentano la scuola ma, già a sei anni, sono occupati, nelle ore libere, insieme al resto della famiglia. E' il caso di tanti bambini cinesi, impiegati nei laboratori di pelletteria e nelle cucine dei ristoranti.
In Toscana nel 2001 il Centro italiano ricerche e informazione sull'economia pubblica, sociale e cooperativa ha redatto un primo rapporto per conto della Regione.
La ricerca rileva però enormi difficoltà metodologiche e concettuali nella quantificazione e nell'analisi del fenomeno, ipotizzando diverse strade per riuscire ad avere un'idea delle sue dimensioni. Fra i dati riportati, è significativo quello su 3.486 aziende toscane visitate dai servizi ispettivi del Ministero del lavoro nel 1999.
Le violazioni dell'età minima sono risultate 17, di cui ben 15 concentrate nel territorio di Prato.
Più recenti i dati forniti dalle rilevazioni dell'Inps sulla base delle ispezioni effettuate. Nel 2003, a fronte di 7.329 lavoratori in nero, i minori rilevati in Toscana sono stati 55. Nel 2002 erano stati 43, contro un totale di 8.271 lavoratori in nero.
Nella zona fra Prato e Firenze alcuni insegnanti hanno realizzato 130 interviste a bambini cinesi. Da questo studio, riportato dall'Osservatorio sul lavoro minorile, emerge che il 95% circa dei bambini cinesi in questa zona lavora e che il loro coinvolgimento nell'attività della famiglia inizia fin dalle scuole elementari.