Per la sua particolare natura, e l'importanza che l'universo sonoro riveste nella tessitura dell'intreccio drammaturgico, Liolà ha sempre attratto nel tempo figure di cantanti e musicisti. Nel 1968 fu Domenico Modugno a vestire i panni del giovane aitante e passionale. Nel febbraio 1993 toccò invece a Massimo Ranieri interpretare la versione del Biondo di Palermo, diretta da Maurizio Scaparro con le musiche di Nicola Piovani. Zio Simone aveva il volto burbero e simpatico di Carlo Croccolo. Anni prima, nel 1981, a musicare la messinscena di Bruno Cirino per Teatroggi era stato Eugenio Bennato: scorrendo l'elenco degli attori impegnati si trova anche il nome di Regina Bianchi, nel ruolo di Zia Croce Azzurra.
Non mancano gli allestimenti curiosi: nel novembre del 1961 Lucio Ardenzi, recentemente scomparso, fu l'impresario di un Liolà diretto da Vittorio de Sica, che si avvaleva di alcuni elementi scenografici disegnati da Renato Guttuso. Protagonista era Achille Millo, mentre Zio Simone era Umberto Spadaro.
"Liolà" è una commedia molto amata dal suo autore, che, parlandone in una lettera al figlio Stefano, affermava che, dopo il "Fu Mattia Pascal", era sicuramente "la cosa mia a cui tengo di più: forse la più fresca e viva".
Talmente amata che Pirandello si indusse a "tradurla" in lingua italiana proprio perché il pubblico non riusciva a seguirla in tutte le sue sfumature e sfaccettature nella versione originale in siciliano. Liolà è sicuramente uno dei protagonisti più riusciti, nella sua semplicità, del teatro pirandelliano, che, come ci dice il regista Gigi Dall'Aglio presentandoci la sua lettura dell'opera, coniuga in questo lavoro lo schema tradizionale dell'antica novellistica erotica della beffa con la commedia rinascimentale della burla matrimoniale e con il recupero umanistico della struttura tragica e del dramma satiresco.
La storia è nota: Liolà è generoso, sempre allegro, vestito a festa, accompagnato dai suoi piccoli che tutte le ragazze del paese amano; a lui si contrappone l'egoismo e l'arida grettezza di Zio Simone - che è vecchio e non riesce ad avere figli dalla giovane moglie Mita, sposata proprio per avere una discendenza - e di Zia Croce, che sperava di dare in moglie al vecchio sua figlia Tuzza e che, ora che questa aspetta un bambino da Liolà, si presta a fingere che il padre del nascituro sia Zio Simone.
In tal modo ella vuole solleticare la voglia del vecchio di avere un erede a cui lasciare tutte le sue ricchezze. Ed infatti Zio Simone scaccia via Mita, la quale però, ottenuta la maternità da Liolà, si fa riprendere in casa da Zio Simone, ben felice di avere sotto il suo tetto quello che cercava. Liolà, come ha sempre fatto con tutti gli altri frutti delle sue avventure, accetta di tenersi anche il figlio di Tuzza, generoso ed allegro come sempre secondo la sua gioiosa natura. Particolarmente felici le invenzioni scenografiche: la scena è uno spazio magico in cui domina, sulla sinistra - laddove Pirandello ha immaginato la porta del magazzino di Zia Croce - un ingresso enorme ed a forma di mostro da cui entrano ed escono gli attori; al centro un albero frondoso intorno al quale si svolgono tutti i riti agresti (le donne che schiacciano le mandorle; la ciurma che, al tempo della vendemmia, porta le ceste colme d'uva) e si sviluppano tutti gli eventi; a destra, la fonte dell'acqua, dove le donne si alternano a lavare, e dove, nel terzo atto, si compie il rito della pigiatura dell'uva.
Tutta la commedia è legata dalle musiche dei cori e dalle danze in un'unità di stile che si sviluppa per tutta questa favola.
Da una lettera di Luigi Pirandello al figlio Stefano:
"È, dopo il Fu Mattia Pascal, la cosa mia a cui tengo di più: forse la più fresca e viva. Già sai che si chiama Liolà. L'ho scritta in quindici giorni, quest'estate; ed è stata la mia villeggiatura. Difatti si svolge in campagna. Mi pare d'averti già detto che il protagonista è un contadino poeta, ebbro di sole, e tutta la commedia è piena di canti e di sole.
È così gioconda che non pare opera mia".