Quella delle navi dei veleni e una vicenda che ha solcato i mari della cronaca per anni. Costata sommosse popolari, miliardi di investimenti e una crisi diplomatica. Percio e esemplare della dimensione globale che ha assunto ormai il tema ambientale.Ai primi di giugno del 1988 le autorita portuali di Koko, uno scalo nigeriano, scoprono una nave proveniente dall'Italia, la Karin B, all'interno della quale sono stivati fusti contenenti prodotti tossici. L'inchiesta appura che non e un caso isolato.
Emergono altre navi, cariche di scorie di aziende del Nord Italia (prevalentemente lombarde).Si scopre cosi che trasferire rifiuti nocivi in paesi sottosviluppati e un pratica diffusa a livello internazionale. Si tratta di paesi cosi poveri e senza controlli, che vi si trova qualcuno disposto ad accogliere scarti non riciclabili dietro compenso.Ma anche il terzo mondo ha dei limiti. E dopo che le proteste nigeriane non hanno sortito grande peso, il governo del paese africano decide di trattenere per ritorsione i 23 marinai di una nave italiana, la Piave, in rada in Nigeria.
Finalmente l'Italia si sente obbligata a recuperare i fusti, compreso il terriccio contaminato dalle sostanze fuoriuscite.Tonando il materiale nel nostro paese sorge il problema della localizzazione della bonifica. Nessuno sa con precisione che cosa contengano i bidoni abbandonati a Port Koko. Intanto un'altra nave, la siriana Zenobia, in rada a Genova, rivela di contenere un carico radioattivo.