Questa intervista è lunga una settimana. Lo è perché intervistare un medico militare, di guerra, vuol dire dialogare “a tempo di interruzione”; attendere quel momento in cui è possibile terminare il discorso. Che cosa stavamo dicendo?
La settimana scorsa raggiungo al telefono Vincenzo Carrozza, chirurgo calabrese da anni impegnato sul campo con missioni ONU in contesti di guerra. Attualmente si trova in servizio presso la base NATO di Pristina, in Kosovo, dove le tensioni con la Serbia non sono mai sopite. << Il Kosovo è un’ideale linea di confine con la guerra>> dice molto schiettamente Carrozza << Sono qui con la consapevolezza che questo possa accadere da un giorno all’altro>>
Ed è proprio la forte consapevolezza di voler essere chirurgo dove può fare la differenza che spinge Vincenzo Carrozza a chiedere, nel 2017, l’aspettativa dall’Ospedale Santissima Annunziata di Savigliano, Provincia di Cuneo, in Piemonte, dove esercitava la sua professione.
<< E’ arrivato un momento nella mia carriera professionale in cui mi sono chiesto se il lavoro che svolgevo, nel modo in cui lo svolgevo, mi desse vere soddisfazioni – risponde serenamente alla mia domanda sul perché di questa scelta “fuori dalla normalità” – “Se era davvero quello l’obiettivo che volevo raggiungere quando ho scelto di fare il chirurgo, cioè avere il “posto” statale, lavorare in un ospedale civile, sottoponendomi alla routine quotidiana di timbratura, sala operatoria, visite in reparto e in ambulatorio. Una routine rigida che piano piano aveva svuotato il senso del mio lavoro”
Questa ricerca del “senso” del lavoro, della vita, delle scelte che si fanno, con sofferenza o con convinzione o con incertezza, ma che si fanno comunque e non si disattendono è quanto si percepisce dalla voce di Carrozza, chiaramente coperta a tratti da quello che succede attorno.
Fa appena in tempo a dirmi che ha scelto di fare la professione in posti dove la guerra e le malattie mietono vittime innocenti ogni giorno << Ho deciso di tornare alle radici della mia professione: lavorare dove davvero il lavoro di chirurgo può fare la differenza. Ecco che luoghi sperduti come il Mali, l’Afghanistan, la Somalia, il Niger hanno dato nuovamente senso al mio lavoro e alla mia vita>> prima di dover velocemente chiudere la telefonata mentre parole inglesi si susseguono al ritmo delle sirene.
Riesco a ricontattare Carrozza solo qualche giorno dopo, via mail, poche battute, per accordarsi sulla prossima telefonata. “Non sarà semplice, ma possiamo provarci” - mi scrive.
Devo ammettere che in quei giorni ho riflettuto moltissimo sul senso della mission che ognuno di noi dà alla propria vita, al proprio lavoro e su quanto, a volte, la ricerca di questo senso sia lunga, sofferta, ma poi arriva un momento, deve arrivare, in cui la scelta si palesa, e non è più possibile sottrarsi. Beh, in quel momento, non c’è un’altra strada se non quella tracciata dalla nostra volontà e dal nostro coraggio.
Questa intervista è lunga una settimana; precisamente riesco a parlare con Vincenzo Carrozza 6 giorni dopo il primo contatto. Non posso non chiedergli che cosa fosse successo, perché avesse dovuto interrompere la telefonata.
<<Mi scuso per aver interrotto l’intervista telefonica, ma abbiamo ricevuto due pazienti che avevano dei traumi dovuti allo scoppio di un ordigno rudimentale – la mia voce, dall’altro capo del telefono, tradisce l’emozione, ma anche la curiosità, e Carrozza sottolinea “Siamo in servizio h 24, quindi sempre disponibili, per cui ogni normale attività quotidiana è subordinata alla cura dei pazienti. Il nostro tempo di risposta, dico nostro perché includo anche gli altri membri del Team, un altro chirurgo, un anestesista, un medico di pronto soccorso e due infermieri, è di pochi minuti. Abbiamo il telefono di servizio sempre accanto a noi anche quando mangiamo o facciamo la doccia>>
Ritorno sul concetto di mission, di dictat morale e professionale perché talune scelte non possono prescindere << La mission di un medico che opera in aree di guerra è quella di salvare quante più vite possibili, strappandole alla morte senza farsi domande>>
Comprendo dal racconto di Carrozza che il lavoro di squadra, lo spirito di team è fondamentale.
<< Il volontariato medico, ma anche di altre figure professionali, svolge un ruolo fondamentale, di ponte tra la vita e la morte. Vaccinare, distribuire aiuti alimentari, scolarizzare, scavare pozzi d’acqua, fabbricare protesi, costruire ospedali, scuole, case, significa dare una concreta speranza di una vita dignitosa a donne, uomini e bambini la cui vita media non raggiunge i quaranta anni>> - risponde in modo accorato.
Quanto è importante diffondere la cultura dell’accoglienza, della solidarietà ma anche di realtà di guerra e in difficoltà?
<< E’ necessario agire su due fronti: cooperare portando conoscenza e tecnologia in Africa, favorendo uno sviluppo responsabile dei suoi Paesi e accogliendo chi fugge da guerre e carestie>>
Lei è anche uno scrittore di “guerra”, ricordiamo Diario di guerra e Ghost Medical Team di prossima uscita. Che relazione c’è fra la sua attività di medico, di pacifista, di volontario e la scrittura?
<< Ho lavorato per Onlus, ma lavoro anche per enti sovranazionali. In questa veste ho avuto la possibilità di essere in prima linea nei conflitti che si consumano in Somalia, in Mali, Afghanistan, ultimamente in Ucraina e scrivere di queste esperienze serve a due scopi: uno catartico, scrivendo riesco a elaborare il dolore che come chirurgo provo vedendo tanti orrori, l’altro di informazione>> - risponde con enfasi - << Spiegare e diffondere quello che accade in queste terribili realtà, serve a rendere sensibili e consapevoli i cittadini italiani su cosa significa una guerra: persone normali, soprattutto normali, non solo soldati, che perdono un braccio, una gamba, la vista, la casa, i figli, la vita>>
Vincenzo Carrozza scrittore è molto attento al racconto delle storie, dei dettagli; con una narrazione fluida riesce a cogliere gli aspetti più importanti di ogni avvenimento. E non dimentica il cuore, l’anima delle storie, dei nomi e dei volti. Questi argomenti sono molto evidenti, anche se trattati in modo romanzato in GMT (Ghost Medical Team) il romanzo che sarà in libreria per i tipi di Golem Edizioni dal prossimo 28 aprile.
Presente al Salone del libro di Torino dal 18 al 22 maggio 2023 allo stand di Golem Edizioni.
La riflessione sulla forza della scrittura non sposta l’attenzione della nostra conversazione anzi rafforza in modo importante la condivisione di una impellente urgenza di conoscenza e compartecipazione.
Scrivere è un esercizio fondamentale per portare a conoscenza, all’attenzione, all’evidenza. E per portare agli occhi ed al cuore.
Il nostro tempo, anche questa volta, sta per scadere e prima di congedarci chiedo al Dott. Carrozza quanto ci sia bisogno, oggi, di sana partecipazione.
<< Direi che una sana partecipazione significa avere piena consapevolezza che i tempi che stiamo vivendo sono fragili. La guerra, che si è affacciata nuovamente in Europa; i migranti che sempre più numerosi cercano nuove possibilità attraversando il mediterraneo a rischio della vita; i nostri governi che affrontano sfide complesse sul piano della occupazione, della sanità, del clima>> risponde con tono e convinzione - << Bisogna diventare parte attiva, facendoci carico dei nostri doveri e aiutando chi siamo in grado di aiutare senza aspettarci null’altro in cambio che la soddisfazione di avere un sorriso o un grazie>>
Lo ringrazio per la cura e l’attenzione del racconto, la delicatezza ma anche l’analisi oggettiva e competente. Ci salutiamo mentre quella vita di storie altrove corre velocemente.
Se possiamo, facciamolo, teniamolo stretto questo aiutare senza aspettarci null’altro in cambio che la soddisfazione di avere un sorriso o un grazie.
Filomena Cataldo