Elsa è una bambina che nasce con una pesante eredità (come d’altronde capita a tanti bambini e non sempre con diagnosi ed etichette che rendono la cosa visibile e comprensibile agli occhi dei genitori e del resto del mondo).
Elsa è figlia di un uomo che ha subìto un grave trauma da bambino (gli viene ucciso il padre davanti agli occhi) e di una donna in un certo senso immigrata che non ha più potuto avere contatti con la propria famiglia d’origine e la propria terra: i temi dell’abbandono e della fragilità dei legami familiari non possono che essere centrali in questa famiglia.
L’eredità di Elsa riguarda la gestione delle emozioni, soprattutto quelle “socialmente scomode” cioè rabbia e paura: nessuno le insegna a gestirle e quando le prova inizia a sparare ghiaccio dai palmi delle mani così come il vecchio Spiderman faceva (con maggiore consapevolezza) con le ragnatele.
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Per farla breve, quando questa ragazzina è spaventata o arrabbiata diventa pericolosa e distruttiva: niente di più comune se ci pensate bene. Nelle nostre case, nelle scuole, nei gruppi sportivi li troviamo facilmente e li etichettiamo come “bambini difficili” (o problematici o pestiferi o teppisti…se ne trovano a bizzeffe di etichette pronte all’uso per loro).
Che succede a questi bambini?
Fanno molto spesso la fine di Elsa e la sua storia è di cattivo esempio per genitori, educatori e adulti in generale. Elsa viene isolata dai genitori perché incapace di modulare le proprie reazioni (ha ferito e quasi ucciso la sorella con il suo ghiaccio in un momento di spavento), la sentenza per lei è questa:
Capo Troll: “La paura sarà la tua peggior nemica finché non la dominerai”
Padre di Elsa: “Elsa imparerà a dominare i suoi poteri! Ma fino ad allora sbarreremo le porte, ridurremo i domestici, terremo i suoi poteri nascosti a tutti, compresa Anna” (la sorella minore).
E qui l’attenzione all’inclusione di un figlio con abilità diverse dagli altri (o disabilità), legittimazione delle emozioni provate, il riconoscimento dell’importanza della reciprocità della relazione con l’altro nonché il rispetto del tema familiare rispetto all’abbandono e la perdita passano decisamente in secondo piano.
A questo punto ci sarebbe voluto un supporto genitoriale o una terapia familiare invece questo Re e questa Regina restano soli con il loro dramma e le cose vanno esattamente come sentenziato.
Elsa cresce tutta una vita isolata, anche questa è una cosa che possiamo immaginare tutti: è come vivere in quarantena a causa del covid19 per tutta la vita!
Quella bambina ha avuto conferma di essere pericolosa, cattiva e sbagliata tanto da non meritare di stare in relazione con nessuno infatti quando si apriranno le porte della sua stanza, sarà ancora più in ansia e naturalmente si ritroverà, suo malgrado, a sparare ghiaccio a destra e a sinistra come fosse realmente il pericoloso mostro che si era convinta di essere.
Quando questo accade Elsa è oramai un' adulta ed i suoi genitori sono morti. La soluzione immediata che lei trova per se stessa indovinate un po’ qual è? Naturalmente quella che ha appreso crescendo: l’isolamento. Corre via e costruisce un cartello di ghiaccio dove si rassegna a vivere sola per sempre.
Cosa succede a quei bambini da adulti?
Frozen sarà pure solo una favola, ma quel castello di ghiaccio che isola dal resto del mondo è qualcosa che quei bambini “difficili” costruiranno davvero intorno a sé una volta adulti soprattutto se insegniamo loro che la cosa giusta da fare è DOMINARE i sentimenti invece che gestirli e ISOLARSI invece che lasciarsi aiutare.
Vi sembra eccessivo? Non lo è, succede anche nelle vostre classi e nelle vostre case: il bambino di 5 anni messo su una sedia lontano da tutti perché ha spinto un altro bambino a scuola, quello messo in un angolino “a riflettere su quello che ha fatto” perché ha rotto un giocattolo a casa sono degli esempi di piccole Elsa isolate perché prede della proprie reazioni emotive.
I genitori di Elsa evidentemente sono stati a loro volta figli non aiutati ed essendo diventati adulti con pochi strumenti, sono un cattivo esempio.
Gli adulti dovrebbero prendere la piccola Anna come esempio che ha il giusto atteggiamento anche se nel ruolo sbagliato: lei non si lascia spaventare dalle reazioni di sua sorella e cerca di avvicinarla nonostante tutto, abituandola pian piano all’idea che lei è qualcosa di più di quel ghiaccio sparato senza controllo e soprattutto che è normale essere a volta spaventati o arrabbiati.
Il punto è proprio quello, rabbia e paura non vanno dominate e controllate ma ascoltate e gestite. Lo strumento più efficace che abbiamo per imparare a farlo è LA RELAZIONE CON L’ALTRO non l’ascetismo e la solitudine che non fanno altro che confermare una immagine cristallizzata di sé negativa e nociva.
Sono molte le persone che quando hanno bisogno di aiuto iniziano a gelare tutto intorno a sé rendendosi quasi inaccessibili, invece è proprio quello il momento in cui vanno avvicinate. Accade un po’ come quando si cerca di salvare un gatto bloccato su un albero: non ci fa certo le fusa mentre lo prendiamo perchè è terrorizzato e quindi graffia e soffia nonostante ci sia grato per l’aiuto!
ps: la terapia familiare avrebbe giovato anche ad Anna, la sorella “sana” che è stata investita del compito di salvare la sorella problematica e che ha quindi trascurato la propria vita personale per quello che passa alla storia come amore tra sorelle ma che va ben oltre sfociando in funzioni genitoriali.