Le donne toscane sono oggi più istruite che ieri, partecipano maggiormente al mercato del lavoro, si laureano di più che in passato - anche nelle discipline scientifiche e tecniche, in ingegneria e in matematica e con numeri, in questo caso, più alti perfino di Germania e Francia, anche se come lauree complessive rimaniamo fanalino di coda della Ue - ma al contrario di molti altri paesi europei le donne toscane fanno pochi figli o non diventano mai madri. .
Conciliare maternità e lavoro appare difficile, raccontano i ricercatori dell'Irpet che stamani hanno presentato a Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, nella sede della presidenza della Regione, un'anteprima sul prossimo rapporto di genere che uscirà a maggio. "La maternità rimane uno dei periodi cruciali, per cui la donna rischia di uscire definitivamente dal mercato del lavoro, o di starci dentro con contratti peggiori o salari più bassi di prima che avesse figli" sottolinea la ricercatrice dell'istituto per la programmazione economica della Toscana, Natalia Faraoni. E unito al basso tasso di fertilità questo rischia di essere davvero allarmante.
"Passa il concetto che fare figli sia un ostacolo al lavoro delle donne e questo è preoccupante – commenta la vice presidente ed assessore alle pari opportunità della Toscana, Monica Barni - . I numeri, che pure sottolineano un netto miglioramento della donna sul mercato del lavoro, ci dicono infatti che le donne che scelgono di fare figli hanno dopo un reddito più basso di prima e più basso anche delle donne che hanno scelto di non fare figli. E questo è un problema, che ha a che fare con tempi di conciliazione e l'organizzazione del welfare, forse anche con valori culturali, la cui soluzione non può essere solo regionale ma nazionale".
Numeri e statistiche dello studio raccontano che in questi anni sono cambiate aspettative e stili di comportamento delle donne toscane: una rivoluzione silenziosa, in particolare per chi ha tra venticinque e quarantanove anni. E' cambiata anche la società, con passi in avanti ma anche l'aggravarsi di alcuni problemi.
Una società vecchia e sempre più vecchiaLa piramide demografica della Toscana, è evidente, ha una base sempre più instabile. La Toscana ha smesso di fare figli da tempo, fin dagli anni Settanta quando il saldo naturale tra nati e morti era già negativo: il minimo storico è del 1995. Ma se si sovrappone la fotografia del 1972 con quella del 2015 pare che siano passati anni luce. Quarantacinque anni fa nel rapporto tra ultrasessantacinquenni e i giovanissimi fino a quattordici anni erano più numerosi i secondi: oggi l'indice di vecchiaia è passato dal 73,4 al 195,1 per cento. Vuol dire che gli anziani sono praticamente il doppio dei giovani, con tutto ciò che in termini economici ne consegue; ma sono cresciuti anche in rapporto alla fascia di mezzo. Nel 1972 i toscani con più di sessantacinque anni erano due per ogni dieci residenti che di anni ne contavano tra quindici e sessantaquattro: oggi sono il doppio (39,9%).
"Adulti" sempre più tardi e la famiglia perde appealSi fanno sempre meno figli ma anche più di rado ci sposa o si decide di convivere. Assieme alla maternità il passaggio da giovani ad adulti è l'altro aspetto maggiormente critico. La società appare sempre più formata da "individui soli", è stato sottolineato più volte stamani. Aumenta il periodo in cui si resta in famiglia e aumentano poi i single, a tutte le età. L'Irpet ha confrontato i numeri del 1985 con quelli del 2015: tra chi ha meno di cinquanta anni i toscani che vivono soli sono oggi l'8,9% (erano il 4,2 trenta anni prima). Crescono gli uomini single, ma anche le donne: anzi, in percentuale la curva per loro si impenna leggermente di più. Aumentano anche i figli con un solo genitore: dall'1,6 si passa al 2 per cento, quando i figli hanno non più di quattordici anni, e dal 2,7 al 6 per cento quando crescono.
Impegni ancora squilibrati nella cura della casaLe donne toscane sono dunque più istruite e lavorano di più, ma non cambia il carico di impegni che sulle donne occupate si addossa, maggiore che per gli uomini, e che riguarda la casa e la famiglia. Per un ora di tempo dedicato dai maschi, le donne ne dispensano tre: nel caso delle laureate, la forbice si accorcia ma rimane pur sempre più del doppio, nonostante che tra il 2014 e il 2012 – e questo è un raggio di luce - le distanze si siano comunque accorciate.
Difficile essere mamma: cambiano modelli ma non le regole del giocoPurtroppo l'Italia (e anche la Toscana) non sembra ancora un paese per mamme: un paradosso rispetto all'Europa, dove al crescere del tasso di occupazione rimane ben più alto il tasso di fertilità, come in Irlanda ma anche in Francia, nel Regno Unito, Svezia e Islanda tanto per fare qualche esempio. La Toscana invece è tra i paesi europei con il più alto numero di donne tra i 40 e i 44 anni senza figli, più del 20 per cento, nonostante non si distacchi particolarmente dalle altre nazioni per numero di figli desiderati: un paio, in genere.
Il problema parrebbe dunque risiedere nelle opportunità e nei servizi.Si decide a volte di ritardare la maternità per conseguire prima una sicurezza economica e un lavoro stabile. Le donne che scelgono di avere un figlio, racconta il rapporto, all'inizio hanno redditi superiori rispetto alle coetanee che un figlio ancora non lo hanno: poi, dopo la maternità, il loro reddito cala. Comincia a ricrescere dopo tre anni, lievemente, ma non raggiunge mai il livello precedente o di quello delle donne senza figli.
Così domina l'idea che fare figli sia solo un costo e un sacrificio.
Poi i figli arrivano in molti casi (il primo mediamente a trentadue anni), ma la conciliazione tra tempi di lavoro e di cura risulta assai complicata. Trenta anni fa la donna toscana entrava nel mercato del lavoro, prima di oggi, e poi spesso verso 25-30 anni ne usciva, quando decideva di mettere su famiglia ed arrivava la maternità. Oggi trova un lavoro più tardi e ci rimane. I modelli sono cambiati, sottolinea l'Irpet, ma non si è assistito a un adeguamento delle 'regole del gioco' ai nuovi rapporti di genere quanto piuttosto ad un'auto-organizzazione della società, che penalizza però madri e nonne. Peserebbero anche certi retaggi culturali e preconcetti, per cui ad esempio, nel 2008 e 2009, molte più donne e uomini che nella vicina Francia erano ancora convinti che i bambini in età prescolare soffrano se le madri lavorano.