Le coppie, soprattutto quelle giovani, credono sempre meno nel matrimonio e sempre meno sono coloro che scelgono di promettersi il fatidico “finché morti non ci separi”. A dirlo sono i dati: l’ultimo rapporto Istat (marzo 2023) rileva una tendenza alla diminuzione dei matrimoni ed un significativo aumento delle convivenze more uxorio, più che triplicate dalle circa 440 mila del biennio 2000-2001 a 1 milione e 450mila del biennio 2020-2021.
A scegliere la convivenza sono per lo più celibi e nubili, dunque presumibilmente giovani coppie o persone che non hanno mai contratto matrimonio. Ma aspetti sentimentali a parte, quale istituto tra matrimonio e convivenza regola meglio diritti e doveri tra due persone legate da una relazione sentimentale stabile?
Ne abbiamo parlato con l’avvocato matrimonialista ed esperto di Diritto di Famiglia, Giacomo Guerrini del foro di Firenze.
Diritti e Doveri nel Matrimonio e nella Convivenza
Avvocato, quali sono le differenze sul piano legale tra matrimonio e convivenza?
"Solo con il matrimonio o con l’unione civile tra persone dello stesso sesso, si acquista lo status di coniuge o lo status di unito civilmente, ovvero un insieme di diritti e doveri nei confronti dell’altro partner. Per i coniugi si tratta notoriamente dell’obbligo di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di collaborazione nell’interesse della famiglia, di coabitazione e di contribuzione ai bisogni della famiglia in relazione alle proprie capacità di lavoro professionale o casalingo. Per gli uniti civilmente lo status è sostanzialmente identico: la legge Cirinnà del 2016 non ha espressamente previsto né l’obbligo di fedeltà né quello di collaborazione, tuttavia secondo l’interpretazione prevalente sono comunque ricompresi nell’obbligo di assistenza. Diritti e doveri che invece non sorgono nel caso di convivenza.
Non costituisce più una differenza la possibilità per i coniugi di scegliere il regime patrimoniale della comunione legale dei beni perché anche i conviventi, se vogliono, possono stipulare un contratto di convivenza e adottare tale regime. Nella prassi, tuttavia, è un regime che non sceglie quasi più nessuno perché si è rivelata una pessima disciplina”.
Qual è la differenza in caso di cessazione della relazione?
"L’aspetto più significativo è quello economico: durante la relazione può capitare che i partner si impegnino economicamente a favore della famiglia, per esempio un partner potrebbe pagare con risorse proprie la ristrutturazione della casa intestata all’altro, oppure il mutuo intestato all’altro. Finchè la relazione è stabile non vi è nessun problema, ma se e quando la relazione termina, allora può capitare che il partner che si è esposto economicamente chieda una restituzione delle somme versate. Se si tratta di persone coniugate, o di persone dello stesso sesso unite civilmente, in linea di massima nessuna restituzione sarà dovuta perché si presume che la prestazione sia stata eseguita in adempimento del dovere di contribuzione alla vita familiare che sorge appunto con il matrimonio o l’unione civile, salvo che l’interessato riesca a dar prova contraria, ad esempio con un contratto di prestito.
Se si tratta, invece, di meri conviventi la restituzione in linea di massima sarà possibile, a meno che le concrete circostanze non consentano di ricondurre la prestazione a spirito di liberalità, ovvero ad una donazione, oppure all’adempimento di un obbligo quantomeno morale. Un'altra differenza importante è che il convivente economicamente più debole non potrà aspirare ad un assegno di mantenimento finalizzato a conservare un tenore di vita analogo al precedente. Al più potrà aver diritto, comunque per un periodo limitato e proporzionale alla durata della convivenza, ai soli alimenti, ovvero all’indispensabile per vivere, se proverà di trovarsi addirittura in stato di bisogno".
Eredità: successione in caso di morte di uno dei partner
Cosa cambia dal punto di vista successorio nel matrimonio e nella convivenza?
"Il partner convivente non è chiamato all’eredità per legge, può essere chiamato solo per testamento. Potrà dunque ereditare qualcosa se e solo se è stato fatto testamento a suo favore. Il coniuge e l’unito civilmente invece non solo possono essere chiamati all’eredità per legge, in assenza di testamento, ma sono eredi a cui spetta per legge non meno di una certa quota dei beni del defunto da calcolarsi sommando i beni esistenti nel suo patrimonio al momento della morte e quelli dallo stesso donati durante la sua intera vita a chicchessia.
Per quanto riguarda i diritti sulla casa invece anche tra conviventi vengono riconosciuti alcuni diritti: se era stata presa in locazione dal solo partner deceduto, il partner superstite avrà diritto di subentrare nel contratto. Se era di proprietà esclusiva del partner deceduto, avrà diritto di continuare ad abitarvi per due anni, o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni, e comunque non oltre i 5 anni. In presenza di figli minori o disabili per un periodo non inferiore a 3 anni".
Diritti dei minori in caso di separazione
Cambia qualcosa in ordine ai figli?
"Nulla. I doveri verso un figlio non mutano in alcun modo in base al tipo di rapporto esistente fra i genitori. Anche nel caso in cui si renda necessario regolamentare l’esercizio della responsabilità genitoriale, a seguito della crisi della coppia, la disciplina è del tutto identica: tipologie di affido, eventuale assegnazione della casa, e le varie modalità di mantenimento".
E cosa dice la legge sull’affido degli animali domestici di coppie separate o divorziate?
"Se la coppia trova un accordo può legittimamente disciplinare anche tale aspetto. A differenza di altri paesi europei quali Francia, Germania, Svizzera, Austria, Portogallo, Spagna l’ordinamento giuridico italiano non contempla la possibilità che, in caso di mancato accordo, possa essere il giudice a pronunciarsi sull’affido dell’animale domestico. Prevale ancora l’idea che l’animale domestico non sia paragonabile ad un figlio, ma ad un bene, dunque se il cane ha un microchip ed è registrato, può essere ritenuto di proprietà dell’intestatario".
In definitiva, avvocato, secondo il suo osservatorio cosa rende così poco attraente il matrimonio?
“Il matrimonio non è in declino ovunque ma è certamente in declino in Italia. Il nostro è uno dei Paesi in cui ci si sposa meno al mondo. Probabilmente questo è da attribuirsi al fatto che sono tanti gli aspetti poco attrattivi dell’attuale disciplina del matrimonio in Italia. Tre su tutti: non c’è modo di far rispettare i doveri che derivano dal matrimonio. Ci si può solo separare quando proprio non se ne può più. Il regime della comunione legale dei beni si è rivelato una pessima disciplina che quasi più nessuno sceglie. Infine l’assegno di mantenimento in favore del coniuge più debole, tendenzialmente a vita, conserva un legame a tempo indefinito e quindi diventa intollerabile, tra persone che hanno scelto di separare le loro vite”
Dunque, possiamo considerare il matrimonio come un istituto ormai obsoleto?
“No, obsoleto mi pare eccessivo. Non foss’altro perché per alcuni è anche un sacramento. Ma oggettivamente l’ultima vera riforma risale al 1975. E’ probabile dunque che una nuova e migliore disciplina avvicinerebbe più giovani coppie all’istituto”.