Marco Giampaolo. “Calcio che passione, la sua di passione per il calcio.”

Un’intervista a Marco Giampaolo durata nell’arco del tempo necessario per fumarsi un sigaro.

Franca
Franca Ciari
28 marzo 2016 15:15
Marco Giampaolo. “Calcio che passione, la sua di passione per il calcio.”

Come premessa a quanto si andrà a narrare qui di seguito vorrei citare un pensiero sul calcio:

“Il calcio è lo spettacolo di una partita, dove la sfera, quel piccolo astro che sorvola alto in un orbita breve, non è preda del caso ma frutto della ragione” probabilmente di molti, uno tra questi è l’allenatore.

Nel momento che stiamo vivendo, quali valori esprime il calcio, secondo il suo punto di vista?

“Il calcio dovrebbe esprimere passione, un valore dello sport in generale, ma anche discussione. Oggi, mi sento di dire, che il calcio è come un grande circo dove coesistono vari personaggi di cui non possiamo sapere bene quanto lo possano arricchire o depauperare nella natura che gli è propria. Un circo molto mediatico che produce conseguentemente denaro, diventando inesorabilmente business. In tale contesto ritengo che ancora la parte migliore del calcio siano i giocatori, oggi attenti professionisti e non esecutori, ormai retaggio del passato. La loro cultura del lavoro è una sorta di auto responsabilità prendendone coscienza che a sua volta trova la sua base nella conoscenza, di cui non si può prescindere”.

Due giornalisti, in occasione dei 150 anni del calcio, hanno definito il calcio “adrenalina e oppio” e “il linguaggio del mondo”; quale si sente di condividere?

“Mi sento molto più vicino al secondo che definisce il calcio un linguaggio universale, che può rappresentare anche il momento che può vivere uno stato ed esprimere contenuti particolari, facendosene portavoce, senza omettere il fatto che può abbattere barriere di ogni tipo ponendo tutti coloro che simpatizzano per tale disciplina sportiva sullo stesso piano.”

La figura dell’allenatore ha subito dei mutamenti nel tempo soprattutto in relazione alla gestione di soggetti diversi sia per individualità proprie che aspirazioni proprie?”

“L’allenatore è cambiato in quanto non gli si chiede più di essere solo allenatore di calcio sul campo, e credo che la differenza la faccia la capacità di saper gestire, di sapersi rapportare in tutti gli ambiti che sono precipui di una squadra di calcio. Un allenatore deve riuscire a trascinare un gruppo di persone con le proprie individualità verso un obiettivo comune. Forse mi sembra appropriato il confronto allenatore – docente dove la figura dell’allenatore è sottoposta ogni giorno ad un esame continuo dipendente da tante variabili che dipendono dalle esigenze degli altri, che necessariamente vanno comprese per evitare punti di rottura. Accostare l’allenatore al docente vuol dire attribuirgli una grande responsabilità , ed è soltanto la coerenza che dimostri giornalmente può riuscire a salvaguardare il tuo ruolo. Vorrei aggiungere che un allenatore ha un suo staff tecnico che di fatto è un tutt’uno con lui e che non potrebbe essere altrimenti.”

Un allenatore potrebbe “fidelizzarsi” ad una società di calcio soprattutto per la sua “ mission”?

“In rarissimi casi si parla di fidelizzazione; in Italia non ci sono degli esempi in tal senso. In virtù del fatto che il calcio è veloce, non condivido molto la parola “progetto” che spesso le società usano quando parlano della loro programmazione, anche perché secondo me quello che loro definiscono progetto è nient’altro che l’idea del club. Il calcio è un “gioco” dove non vengono rispettate le logiche e fare un progetto calcistico è difficoltoso”.

Che momento stanno vivendo gli arbitri?

“Basandomi sulle mie conoscenze so che si devono impegnare molto per essere in grado di arbitrare ma, nonostante questo, sono soggetti a sbagliare e quindi devono essere messi nella condizione di sbagliare meno. Il supporto della tecnologia deve essere mirata a risolvere i dubbi inerenti ad una situazione specifica, come nel caso della goal –line che si è rivelato un supporto importante in caso dell’incertezza di assegnazione di un goal.”

Parlando dell’Empoli fbc, a otto gare dalla fine del campionato, qual è il momento più intenso che ha vissuto con la sua squadra?

“Il momento più bello che vivi in assoluto è quando la tua squadra vince, ma soprattutto quando riesci a coniugare il risultato attraverso un’espressione di gioco.”

Per allenare una squadra come l’Empoli da quali equilibri non si può prescindere per raggiungere gli obiettivi che la società si è prefissata?

“Ritengo che nel calcio sia difficile la gestione delle difficoltà, dei conflitti ed è proprio in tali situazioni che la società può fare la differenza, anche perché un momento negativo può capitare a tutte le società nell’arco di un campionato. L’Empoli è una società che ha nel proprio dna sia la valorizzazione dei giovani che salvaguardare la categoria; e l’Empoli mi sembra molto consapevole della sua mission.

Prendendo in considerazione i suoi giocatori attuali quali tra questi valori come la rabbia, l’orgoglio, la dignità, la coerenza., l’umiltà, la semplicità ed il rispetto, gli riconosce?

“Ritengo che questo gruppo abbia un forte attaccamento alla maglia, anche per il fatto che molti provengono dal settore giovanile dell’Empoli e la maglia se la sentono cucita sulla pelle”

L’informazione che i media propongono del calcio ritiene che gli porti vantaggio o svantaggi?

“L’informazione fa parte del circo in cui il calcio è inserito. Se serva o no, ormai è un dato di fatto, soprattutto acquisito. Il calcio si porta dietro degli interessi collaterali infiniti.”

Concludendo questa intervista , che magari serve o non serve, interessa o non interessa, Le chiedo quante delle sue personali opinioni mister Giampaolo ha dovuto cambiare nell’ambito della sua vita professionale?

“Sicuramente posso dire che non ho cambiato le mie opinioni anche perché gli eventi sono il frutto delle situazioni anche e se non avessi la passione di allenare una squadra di calcio non farei questo mestiere. L’unica cosa certa è la mia grande passione per il calcio.”

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