TORINO - Appropriarsi della presunta vita degli altri, immaginando pulsioni che non ci sono, e ignorando quelle reali, forse più scandalose. Illudersi di esercitare un certo potere sugli altri, rendendoli complici di atrocità ingiustificate, soltanto per dar sfogo alle proprie fantasie. Da questo controverso tema prende le mosse Pornografia, tratto dal romano di Witold Gombrowicz, che Luca Ronconi ha allestito al Teatro Carignano con la consueta concettualità scenica.
Nel 1943, durante l'occupazione nazista della Polonia, un uomo, tale Witold Gombrowicz (omonimo dell'autore, interpretato da Riccardo Bini), entra in affari con un certo Federico (Paolo Pierobon). I due si recano insieme in campagna, a casa di Ippolito, agiato proprietario terriero. Qui conoscono la figlia sedicenne Enrichetta, in procinto di sposarsi con il giovane avvocato Venceslao. La riscoperta della bellezza, dopo anni di vita grigia, dà vita a perverse fantasie e speculazioni, in Federico e Witold, che tramano per fare in modo che la ragazza lasci il fidanzato per Carlo, suo coetaneo, ma non è un'impresa semplice: tra i due minorenni sembra non esserci attrazione.
L'impossibile ricerca della giovinezza perduta, sullo sfondo della Polonia invasa dalle truppe naziste, alimenta anche l'amara illusione di poter trasferire su una dimensione più accettabile la violenza della guerra. Illusione paradossale, perché la macchinazione di Witold e Federico dà vita a uno scenario altrettanto orrido. Metafora di un'Europa ormai priva di valori e sfigurata dalle atrocità dei totalitarismi. In mezzo, una morte che è forse un gioco erotico finito male, un combattente della Resistenza (Siemian, un uomo esaurito dallo sforzo emotivo delle missioni segrete), un continuo giocare con sentimenti forse veri forse soltanto recitati, femminilità ormai bruciate (Amelia), determinate però a cercare il piacere.
La regia di Ronconi opta per un approccio narrativo, grazie a una scenografia dinamica, che compare e scompare a ogni cambio di quadro, come un continuo voltare pagina, a suggerire l'idea della lettura del romanzo originale, del quale vengono recitati lunghi brani, che si alternano alla recitazione attoriale in senso proprio. Ne scaturisce, all'interno della vicenda principale, anche l'osservazione di un mondo borghese ormai in disfacimento, nelle persone del possidente Ippolito, dell'irresoluto Venceslao, dell'eroe sconfitto Siemian, di Amelia, madre di Venceslao.
L'anarchia selvaggia e depravata nella quale, a detta di Witold e Federico è sprofondato il popolo, la ritroviamo espressa nelle tele di George Grosz, acuto osservatore di un'Europa uscita devastata dalla Prima Guerra Mondiale, anche dal punto di vista dell'assetto sociale. Sullo sfondo, si avverte la nostalgia per l'Austria Felix, intesa come comunità culturale mitteleuropea della quale anche Gombrowicz fece appena in tempo a far parte, e dove un acquisito sistema di valori garantiva la compattezza del tessuto sociale.
La Prima Guerra Mondiale segna invece la disgregazione dell'Impero, e con esso conosce la sua fine anche una sorta di mito politico cui, nel bene e nel male, tutti facevano riferimento. Lo smarrimento, anche emotivo, è grande, ed è un'altra delle cause che portarono alla disgregazione di valori medio-borghesi quali la temperanza e la pudicizia. All'ombra di queste rovine, Gombrowicz si pone all'interno di un discorso intellettuale, quello della proiezione di sé sugli altri, che già Anton Cechov aveva affrontato nello splendido racconto La fidanzata.
Ma se, sul finire dell'Ottocento, quest'influenza si traduce in una sorta di insegnamento morale e filosofico, a distanza di circa mezzo secolo, si trasforma in un'egoistico voyeurismo che tende a legare, in maniera disturbante, scandalosa e indissolubile, quell'innocenza e quella bellezza della gioventù, che l'età adulta si è ormai lasciata alle spalle. A sua volta prosecutore della tematica, sarà l'americano Raymond Carver, con il suggestivo e disturbante racconto Di' alle donne che andiamo, dove il dubbio se trasformare o distruggere la giovinezza altrui, nemmeno si pone, e si opta per la scelta più estrema.
Witold è convinto che ognuno reciti la parte di sé stesso, per non essere costretto a interpretare qualcun altro. Un'ambiguità che rende bene il caos in cui erano piombate la Polonia, e l'intera Europa, devastate dal Secondo Conflitto Mondiale. A mancare, è il contenuto delle cose e delle persone, di ciò che esse dicono, o credono di dire; il movente e il significato delle loro azioni. A irritare Witold e Federico, l'arrendevolezza di una generazione, quella più giovane, che ---- Una considerazione che pone Gombrowicz fra le voci di un dibattito di respiro europeo, non semplice e ancora per molti versi senza risposta, sul destino che toccò alla generazione degli anni Venti; per citare un discusso autore di casa nostra, Curzio Malaparte, quella fu una generazione venduta per paura (cfr.
La pelle); la responsabilità dei maiores, è evidente. Eppure, non paghi di ciò, tentano di strapparle quell'innocenza che pur le rimane, per renderla vittima del loro bisogni di raggiungere il piacere. Evidente il riferimento a Nietzsche e alla volontà di potenza intesa come sopraffazione delle volontà più deboli. Si crea quindi un vortice di lussuria del dolore, che nell'Europa dei Totalitarismi sembra essere l'unica maniera per esplicitare quelli che un tempo erano sentimenti umani.
Lucia Marinsalta e Loris Fabiani, rispettivamente Enrichetta e Carlo, interpretano con efficacia tutto lo sciocco stupore di chi subisce passivamente la realtà circostante, e la quasi ninfomania cui è soggetta la ragazza, anziché volontà di potenza, come nel caso di Witold e Federico, è un semplice seguire l'istinto naturale, un istinto abnorme, smisurato, disumano. Presi idealmente per mano dai due anziani signori, li seguono senza porsi domande, semplicemente accettando di sovvertire una situazione che sembrava già acquisita. Trascinati in un quella che poi diverrà una sorta di cospirazione, vi partecipano come a un gioco qualsiasi, però molto più grande di loro. Ma alla radice del bisogno di macchinazioni simili, sta, per Witold e Federico, la sconfitta esistenziale che arriva in parte con la vecchiaia, ineluttabile, in parte per responsabilità proprie.
Una narrazione, quella di Gombrowicz, che si perde in mille rivoli di episodi solo apparentemente marginali, e che ricorda altre prose dell'Est Europa, quali Guarda gli Arlecchini, o Signora Ada, entrambi romanzi di Nabokov. Ronconi la asseconda, costruendo uno spettacolo che, pur nell'andamento lento e solenne, è un affresco che cattura l'attenzione del pubblico per la quantità di considerazioni che suggerisce, sociali, estetiche, politiche.
Particolarmente interessante la scena onirica e surreale di un servizio religioso, dove Witold conclude che Dio è un miracolo; un miracolo di bellezza, sfortunatamente da lui mal interpretato, ma che sembra la paradossale giustificazione alla sua "pornografia immaginata". Riccardo Bini e Paolo Pierobon, rispettivamente Witold e Federico, danno vita agli sconfitti della prima metà del Novecento, ovvero a coloro tagliati fuori per ragioni di età dall'Europa del nuovo corso, e che hanno visto disgregarsi il sistema di valori che li ha formati.
Non rassegnandosi a questa perdita, dandy mancati ormai ridotti a "refrattari" à la Joseph Roth, si rifugiano in insane fantasie, che hanno l'assassinio quale unico mezzo per affermare la propria volontà; assassinio che lasciano però commettere a Enrichetta e Carlo, completando il quadro del predominio. Pierobon è un Witold che dietro l'apparente austerità cela una profonda nostalgia per il passato e il piacere della giovinezza, ma nel suo agire c'è una sorta di freddezza intellettuale; mentre per il personaggio di Federico, Bini sceglie un approccio molto più brutale, persino laido, rappresentando quella sfrenatezza, anche intellettuale, che caratterizza le estreme decadenze.
Lo spettacolo, affascinante e disturbante insieme, ricorda certa cinematografia americana indipendente, ad esempio la pellicola Breezy di Clint Eastwood, e se all'apparenza sembra poco attuale, in realtà presenta una dinamica di conflitto generazionale che ancora oggi è sotto i nostri occhi. Quanto, la gioventù contemporanea, è in grado di esprimere una propria indipendente volontà?