FIRENZE. Il 2024 ha segnato per l’artigianato toscano il definitivo esaurimento della fase di ripresa che aveva fatto seguito alla recessione innescata dalla pandemia. Dietro la stagnazione di alcuni fra i principali indicatori ciclici (fatturato, margini, grado di utilizzo della capacità produttiva) si celano profondi squilibri: da un lato, per gli andamenti divergenti che si registrano fra i diversi settori, con performance anche fortemente negative in alcuni comparti, in primis il sistema moda; dall’altro, per la negativa evoluzione di variabili che hanno una valenza anche “strutturale”, legate agli investimenti, all’occupazione, alle crisi d’impresa.
Le incertezze legate all’attuale scenario economico e geo-politico sembrano destinate a confermare tali tendenze anche nel 2025, accentuando quei fattori di fragilità che costituiscono un’espressione dello stato di “stress” a cui è attualmente sottoposto il sistema artigiano regionale. Sono queste le principali indicazioni contenute nell’XI Rapporto annuale sul settore artigiano, presentato oggi a Firenzedall’EBRET e realizzato dall’Osservatorio Imprese Artigianesulla base di un’indagine realizzata su quasi 800 aziende artigiane toscane con dipendenti.
All’EBRET, l’Ente Bilaterale dell’Artigianato Toscano presieduto da Monica Stelloni ed attivo da quasi 35 anni a sostegno del comparto, aderiscono oltre 19mila aziende e 90mila lavoratori del comparto artigiano.
Nel 2024 il fatturato delle imprese artigiane toscane ha arrestato la propria crescita, dopo aver perso progressivamente slancio fra il 2021 e il 2023; l’arretramento è trascurabile in termini aggregati (-0,1%) ma rappresenta la sintesi di andamenti contrapposti sotto il profilo settoriale. Se i comparti dell’edilizia e dei servizi hanno fatto registrare in genere una discreta tenuta, non altrettanto può dirsi per il manifatturiero: spicca il crollo della concia-pelletteria-calzature (-13,2%), accompagnato da arretramenti di carta-stampa (-4,3%), legno-mobili (-2,5%), prodotti in metallo (-2,2%), gomma-plastica (-2,1%), abbigliamento (-1,1%).
A risultare penalizzati sono stati soprattutto i territori maggiormente aperti ai mercati internazionali ed a più forte vocazione manifatturiera; le peggiori performance si sono registrate a Pisa, Arezzo e Firenze, sedi di importanti cluster produttivi, con variazioni tra il -1 e il -2%. Prato, Siena e Massa Carrara hanno mantenuto i livelli del 2023, mentre vi sono state dinamiche ancora positive per le restanti province.
Risultano negative le dinamiche occupazionali: dopo 10 anni di crescita (con l’unica eccezione del 2020, anno del covid) sono tornati a diminuire i dipendenti artigiani, con un calo di quasi 2.100 unità (-1,5%). La flessione è riconducibile ai comparti manifatturieri (circa 2.000 le unità in meno), con un vistoso peggioramento del bilancio – già negativo – del 2023: a pesare sono state soprattutto le difficoltà della filiera pelle (calo di oltre 1.300 unità, -10,3%), ma anche metalmeccanica (-341) e tessile (-295) hanno riportato dinamiche negative. Anche l’edilizia artigiana ha virato in negativo, dopo che già nel 2023 si erano evidenziati i primi sintomi dell’esaurirsi della spinta assicurata dai bonus fiscali. Leggera flessione anche per il terziario.
Il bilancio finale dell’artigianato toscano avrebbe potuto essere anche peggiore senza i massicci interventi di integrazione salariale assicurati dal Fondo di Solidarietà Bilaterale (FSBA), che in Toscana hanno interessato circa 1.250 imprese e oltre 9.000 lavoratori.
Gli importi rendicontati al Fondo sono stati pari a oltre 21 milioni di euro (+53% rispetto al 2023), collocando la Toscana al primo posto in Italia anche in termini di giorni rendicontati (quasi 283mila, equivalenti a circa 1.100 lavoratori-anno full-time). Forte la concentrazione settoriale, con tre ambiti “contrattuali” che hanno assorbito quasi il 90% delle erogazioni: la quota più ampia delle risorse è andata alla filiera pelle (oltre 10 milioni rendicontati, +84%), seguita da metalmeccanica (5 milioni, +67%) e tessile-abbigliamento (quasi 4,5 milioni, +50%).
Quasi paradossali appaiono quindi le crescenti difficoltà di reperimento del personale incontrate, nel corso degli ultimi anni, dalle imprese artigiane toscane: se nel 2017 le difficoltà riguardavano una figura ricercata su tre, nel 2024 il mismatch fra domanda e offerta è raddoppiato, raggiungendo il 62%. Ciò è riconducibile a fattori di natura “strutturale” legati ad aspetti demografici e socio-economici, ma nell’ultimo triennio potrebbe derivare anche da aspetti di natura salariale: nel 2022 le retribuzioni artigiane si sono infatti ridotte di quasi il 10% in termini reali.
La congiunzione fra condizioni di accesso al credito problematiche, peggioramento del ciclo economico ed incertezza dello scenario internazionale sul fronte economico e geo-politico ha inciso pesantemente sulla propensione all’investimento. La quota di imprese artigiane che hanno realizzato investimenti nel corso del 2024 è scesa al 22 per cento, oltre dieci punti percentuali in meno rispetto al biennio 2022-2023, riportando l’indicatore sui valori di minimo del 2020-2021; un sintomo che ben descrive il “clima psicologico” degli imprenditori artigiani.
Anche la nati-mortalità delle imprese artigiane ha fatto segnare un bilancio di segno negativo nel 2024, con un saldo fra entrate e uscite pari a -602 unità. Forte è stato l’incremento delle cessazioni, passate dalle 6.579 del 2023 a 7.166 (+8,9%); si tratta di un valore storicamente elevato. Alla tenuta delle costruzioni (+0,3%) e dei servizi (+0,2%) si è contrapposta la flessione del manifatturiero (-761 unità, pari al -2,8%), con punte elevate nella filiera pelle (-217 unità), nell’abbigliamento (-131) e nel legno-mobili (-109).
I dati sui primi mesi del 2025 non portano novità significative.Le aspettative degli imprenditori artigiani segnalano un’ulteriore limatura al ribasso del volume d’affari (-0,5%), con il +0,9% del terziario che non riesce a compensare il -1,7% del manifatturiero. A far registrare le maggiori difficoltà (-6,1%) è di nuovo la concia-pelletteria-calzature. Restano poi depresse le prospettive legate ai processi di investimento, con potenziali ripercussioni negative di medio/lungo termine.
Occorre peraltro evidenziare che l’indagine è stata effettuata in un periodo antecedente all’introduzione dei dazi americani ed è dunque plausibile ritenere che le aspettative per il 2025 siano suscettibili di una revisione al ribasso. Il mercato statunitense è del resto uno sbocco importante per alcuni comparti regionali a forte presenza artigiana, con potenziali ripercussioni non solo per gli imprenditori direttamente esposti con l’estero, ma anche (soprattutto) per coloro che operano come subfornitori/contoterzisti all’interno delle filiere produttive.
Fra i comparti che presentano congiuntamente una quota elevata di addetti artigiani e di export verso gli Stati Uniti troviamo l’abbigliamento (23 mila addetti artigiani, il 48% del totale, peso dell’export USA pari all’11%), la pelle (15 mila addetti artigiani, 28% e 15%), la trasformazione alimentare (10 mila addetti, 47% e 30%), il legno-mobili (quasi 8 mila addetti, 39% e 12%), la lavorazione di minerali non metalliferi (oltre 3 mila addetti artigiani, 25% e 32%).