FIRENZE - L’evoluzione del pensiero segue spesse volte via impervie e meno evidenti a un’osservazione superficiale abituata alle classificazioni accademiche. L’arte fiorentina fra XVI e XVII Secolo, nei suoi caratteri peculiari di purezza, semplicità e naturalezza, ripercorre oltre un secolo di storia europea, nel delicato periodo che vide lo scontro religioso e politico tra Riforma e Controriforma, e che inondò il continente di genialità e inquietudini.
Puro, semplice e naturale nell'arte a Firenze tra Cinque e Seicento, curata da Alessandra Giannotti e Claudio Pizzorusso, è la straordinaria parata di 72 opere fra dipinti, marmi e sculture policrome, che indaga le ragioni di quegli artisti che seppero innovare la tradizione, smentendo il luogo comune di un’arte votata solamente al passato.
Una mostra di carattere squisitamente intellettuale, come hanno spiegato Cristina Acidini e Antonio Natali, che richiede una particolare attenzione nel seguire il filo di un pensiero critico che muove dal Vasari e dal Baldinucci per ricostruire il cruciale passaggio dal Manierismo al Barocco, un passaggio che non si esaurisce nell’evoluzione dello stile artistico, bensì attiene anche all’evoluzione del pensiero europeo di cui Riforma e Controriforma si contendevano il primato.
Tre aggettivi, quelli del titolo, che rappresentano artisti della cosiddetta “Scuola fiorentina”, quali Andrea del Sarto, Jacopo da Empoli, Alessandro Allori - per citarne soltanto alcuni -, accomunati da un sentire che rivela la necessità, tutta toscana, della chiarezza d’espressione, della semplicità di stile, che si ritrova specchiata nei caratteri del popolo toscano, a cominciare da quella urbanità di modi (com’ebbe a scrivere Malaparte in Maledetti toscani), che in nulla cede agl’inutili orpelli, per coinvolgere anche il discorso dell’approccio linguistico; non casualmente, proprio in quegli anni la fiorentina Accademia della Crusca apre il dibattito sulla purezza della lingua italiana, che la porterà a editare il primo vocabolario “nazionale” nel 1613, lessicalmente mutuato sulla lingua toscana.
Si tratta di un percorso, quello dell’innovare la tradizione, restando fedeli alla semplicità, che tocca più ambiti, non ultimo appunto quello artistico.
Già in passato agli Uffizi si è parlato della natura del Manierismo, con L’Officina della Maniera, che già individuava le figure di riferimento in Andrea del Sarto, l’Empoli, Santi di Tito, per la loro adesione al dato naturale.
Questa mostra è strutturata in cinque sezioni cronologiche e quattro tematiche, e si apre sulla capitale “novità della tradizione”, vista attraverso le Annunciazioni di Andrea della Robbia, Andrea del Sarto (nella foto), Santi di Tito e Jacopo da Empoli, sospese fra le suggestioni savonaroliane e il primo naturalismo seicentesco. Fra i seguaci del frate ferrarese e della sua “nobile chiarezza” ci furono, sul finire del XV Secolo, Lorenzo di Credi, Ghirlandaio, Fra’ Bartolomeo e Andrea Sansovino, che la mostra individua come i maestri ispiratori della semplicità e naturalezza fiorentina, che emerge nelle figure di Santi dai corpi plastici e le espressioni umanizzate.
Un percorso che continua negli anni a venire, con il Franciabigio, il Bugiardini, il Sogliani, che inseriscono la pura bellezza del paesaggio e dell’architettura fiorentina nelle loro opere - già cinquecentesche ma capaci di guardare al Quattrocento -, delle quali colpisce il linguaggio narrativo semplice e vivo, vicino al sentire religioso popolare, come ben esemplifica il Noli me tangere del Franciabigio, che rivela l’influenza compositiva di Andrea del Sarto. Quel “puro senza ornato” come scrisse l’umanista Cristoforo Landino è la cifra che appunto dal Quattrocento caratterizza l’arte toscana.
A rafforzare la vena di purificazione della forma dei pittori fiorentini, intervennero anche due Sinodi controriformisti, indetti dall’allora arcivescovo Altoviti, che prescrivevano l’immediata chiarezza illustrativa dei quadri a tema religioso. Ecco allora che Bronzino, Carlo Portelli, Giovanni Bandini e Alessandro Allori si rifanno a una squisita eleganza della forma - dove spicca la grazia muliebre espressa dall’Allori -, aprendo però la strada alla “maniera moderna”. Una maniera che, nel XVII Secolo, andrà in direzione contraria al caravaggismo, seguitando a ispirarsi alla lezione di Ghirlandaio, Sogliani o del Sarto.
Santi di Tito, Jacopo da Empoli, Antonio Novelli, Andrea Boscoli, e altri artisti contemporanei, si tengono ben lontani dalla tensione drammatica che trasuda dalle tele e dai corpi di Caravaggio e dei pittori a lui affini.
La purezza e la semplicità di forma della “Scuola fiorentina”, trova specchio in quel poetico teatro degli affetti che nell’arco dei decenni gli artisti non hanno mai perso di vista, e fatto di accoglienti interni domestici, gesti di tenerezza fra genitori e figli, operosità artigiana, sguardi solleciti, mai enfatizzati e resi perciò innaturali.
Completa la mostra una selezione di disegni proveniente dalla collezione del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, importante perché la naturalezza artistica fiorentina si fonda in larga parte su questa tecnica; gli artisti si cimentarono con prove grafiche di eleganza analitica, a precedere i dipinti su tela.
Attraverso le 72 opere in mostra, si ha modo di approfondire l’analisi del linguaggio di un percorso artistico parallelo al rinnovamento suggerito dalla Crusca, un linguaggio che “libera” dalle etichette un cenacolo di artisti che seppero esprimersi guardando alla tradizione locale e innovandola con garbata intelligenza, permettendo di apprezzare al meglio, senza strade pretracciate, una corrente artistica che è portatrice della civiltà toscana, con i suoi valori e la sua sobria eleganza. Inoltre, la mostra cade in contemporanea con l’altra allestita a Palazzo Strozzi e dedicata a Pontormo e Rosso Fiorentino - probabilmente i massimi esponenti della maniera toscana -, e pertanto ne completa la comprensione, fornendone l’inquadramento generale.
Una mostra che si discosta dalla “facilità” di altre, allestite un po’ in tutta Italia, e che rifugge il gran nome, per interrogarsi sull’evoluzione di uno stile artistico, che però è anche immagine dei caratteri di un popolo e del suo sentire, a dimostrazione che l’arte è lo specchio della vita.