“Le bugie hanno le gambe corte e si scoprono presto” dicevano le nostre nonne. E di bugia si può parlare riguardo all’accordo sul grano proposto dal presidente di Aidepi Paolo Barilla, leader dei pastai nostrani ad un gruppo di agricoltori compiacenti. Non si è fatta attendere la dura risposta di Coldiretti per bocca del suo presidente nazionale Roberto Moncalvo: “Non si può firmare un accordo che denigra la qualità del grano italiano senza dire una parola sulle importazioni di un milione di tonnellate di grano dal Canada trattato in preraccolta con glifosato, accusato di essere cancerogeno e per questo vietato in Italia”.
“Abbiamo fatto una dura battaglia in difesa del Grano italiano che ha portato all’obbligo di indicare in etichetta l’origine del grano nella pasta previsto dal decreto dei Ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda – ha dichiarato Tulio Marcelli, presidente di Coldiretti Toscana – che entrerà in vigore il prossimo 17 febbraio 2018 e non siamo disponibili a nessun accordo che non faccia riferimento all’origine del grano”.
Ricordiamo che contro il decreto per l’etichettatura trasparente della pasta gli stessi pastai hanno presentato e poi perso il ricorso davanti al Tar del Lazio.
“Il nostro Paese – sottolinea Antonio De Concilio, direttore di Coldiretti Toscana - è il principale produttore europeo e secondo mondiale di grano duro, destinato alla pasta con 4,3 milioni di tonnellate su una superficie coltivata pari a circa 1,3 milioni di ettari che si concentra nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano circa il 40% della produzione nazionale. Anche in Toscana – continua De Concilio - vengono coltivati circa 110.000 ettari a grano dei quali 90.000 seminati a grano duro e quasi 20.000 quelli in cui si coltiva il grano tenero.
3.5 milioni di quintali di grano prodotti. La produzione del grano duro si concentra nella province di Siena, Grosseto e Pisa, mentre ad Arezzo va il primato per il grano tenero, coltivato soprattutto in Val di Chiana. Sono circa 15.000 le imprese agricole toscane che coltivano grano in aree in cui se non vi fosse questa coltivazione resterebbero incolte. Invece di denigrare il nostro grano, bisognerebbe remunerarlo in modo corretto, rendendo possibile non solo il mantenimento delle attuali superfici ma, anzi, favorendone l’incremento, utile per il territorio e per la sicurezza alimentare dei cittadini.
Noi continueremo la nostra battaglia, edificando nuove filiere, da soli o con l’industria pastaria lungimirante”.