Rispondendo alle ultime dichiarazioni di Enrico Rossi a una tavola rotonda on line organizzata l’altro ieri dalla Uil, coloro che non apprezzano gli investimenti in ‘grandi opere’ si domandano: stiamo andando verso un futuro per tutti o indietro a un passato sorpassato? A Firenze conviene restare in mano a una monocultura del turismo?
Il presidente della Giunta regionale aveva dichiarato: “Non si può pensare a difendere turismo e business senza modernizzare gli aeroporti o realizzare una stazione ferroviaria dell’alta velocità a Firenze che eviti il rischio di molti treni non si fermino più nel capoluogo toscano”.
Secondo Idra, però, Rossi forse non ha letto con sufficiente attenzione la diagnosi formulata a proposito della stazione Foster, dati del progetto alla mano, dall’analisi costi-benefici (che pure era piaciuta all’assessore ai Trasporti Vincenzo Ceccarelli).
Queste le conclusioni testuali di quel documento sull’impatto della Foster in città: “Gli utenti destinati a Firenze (…) sono complessivamente danneggiati dalla posizione della stazione. In particolare, tutti quelli che interscambiano tra treni (non solo regionali) in Santa Maria Novella avranno un significativo aumento di tempi, così come quelli destinati al centro di Firenze (es. i turisti).
(…) La scelta di seguire sotto terra la cintura ferroviaria ha introdotto vincoli al progetto e per contro non sembra averne minimizzato i disagi per i ‘fiorentini’”.
Conviene davvero vantare come un bel risultato per Firenze patrimonio Unesco, commenta Idra, un progetto con simili controindicazioni proprio per i residenti e i visitatori? E proprio mentre la Corte dei Conti europea rivela che la costruzione di nuove grandi infrastrutture di trasporto aggiunge effetti climalteranti a una condizione planetaria già critica? Idra lamenta di aver commentato il pronunciamento della Corte in una lettera inviata a Enrico Rossi, a Eugenio Giani e a Dario Nardella, ma di non aver ricevuto, normalmente, alcun riscontro. Un’altra Corte dei Conti del resto, quella della Toscana, osserva l’associazione costituitasi parte ad adiuvandum in quel procedimento, ha dichiarato responsabili di gravi danni ambientali ed erariali proprio i predecessori di Rossi, per un’altra TAV, quella che ha sconquassato il Mugello: per “condotta gravemente colposa […], censurabile superficialità, insolita pervicacia ed in violazione ad elementari norme di diligenza”.
Solo che, è il commento, Vannino Chiti, Claudio Martini e i numerosi altri amministratori regionali e centrali riconosciuti colpevoli sono andati prescritti, mentre al Mugello, al suo territorio e ai suoi abitanti incolpevoli sono rimasti i danni, non prescritti. “Una sentenza – si legge ancora nel comunicato - che soltanto il pietoso reiterato pudore delle cronache amiche ha aiutato a rimuovere dalle memorie e dalle coscienze”.
Quanto all’aeroporto-sotto-casa, si richiama il fatto che anche lì le criticità vengono al pettine, e non solo per le resistenze della cittadinanza: il progetto di ampliamento ha ricevuto anch’esso una bocciatura, lo scorso febbraio, dal Consiglio di Stato.
Ma si avvicinano tempi migliori?, si chiedono dalle parti di Idra.
“Se a succedere a Chiti, a Martini e a Rossi sarà Eugenio Giani, c’è forse da dubitarne”. E si propone un fact checking: “A distanza di 16 mesi, l’attuale presidente del Consiglio regionale non risulta aver mai risposto alla richiesta di rettifiche che, a proposito di informazione corretta, Idra gli aveva trasmesso via Pec a febbraio dell’anno scorso.
Giani aveva dichiarato infatti, a proposito della cantierizzazione TAV, alcune cose semplicemente fantasiose: saremmo in presenza di “un cantiere lasciato a metà”, dove "mancano solo 4-5 chilometri da scavare con la talpa”. Idra provvide a girare al presidente del Consiglio regionale il pieghevole che il committente RFI ha diffuso sul “Nodo di Firenze”, coi dati del progetto. “Riteniamo che ogni opinione sia legittima”, scrisse l’associazione a Giani.
“Ma anche che sia doveroso non esimersi dal divulgare dati corretti, esatti e completi”. E chiarì che:
- il tracciato in sotterraneo si sviluppa per 6444 metri, non per “solo 4-5 chilometri”;
- i tunnel sono due, e quindi sono 12888 metri, tre volte i km raccontati;
- diversamente dal progetto approvato 21 anni fa, non si scaverebbero in contemporanea con due frese ma con una sola fresa, prima uno e poi l’altro: forse per risparmiare, ma non certo né tempi né rischi)
- nell’area della stazione, dove c’è la grande buca incompiuta della Foster, a detta dell’ARPAT “è completato lo scavo di approfondimento fino a quota +41m s.l.m (a titolo di riferimento, la quota +41 è circa 5 metri più in basso del piano strada di via Circondaria – lo scavo finale è previsto fino a circa quota +20 slm)”, e dunque lo scavo è effettuato soltanto per un quarto del volume complessivo;
- infine, la trincea per la stazione necessiterà di essere riempita e allestita con quanto necessario a ospitare le strutture previste dal progetto”.
Sembrava dunque un po’ bizzarro parlare di “un cantiere lasciato a metà”. Perciò Idra chiese a Giani: “Ella condividerà che – se non sono intervenute modifiche nel progetto descritto nel documento RFI, e considerato il Suo ruolo istituzionale - sia opportuno verificare la fondatezza della nostra segnalazione e, in caso positivo, voler cortesemente provvedere alle doverose rettifiche”. Ma queste rettifiche, fanno sapere dall’associazione, non sono mai pervenute.
Conclusione: “Da anni e anni, con tanto dispendio di denaro pubblico, sempre lo stesso stanco mantra: “grandi opere” uguale lavoro, “grandi opere” uguale progresso. Con l’aggiunta dell’ultimo grido in fatto di bufale: il ‘modello Genova’!”, già oggetto di un botta e risposta nelle settimane scorse fra l’associazione e la Lista Nardella.
Al contrario, sostengono quelli di Idra, le “grandi opere” succhiano quantità enormi di denaro e di risorse naturali in cambio di lavoro scarso e precario. E con quelle stesse somme – sono convinti - si potrebbero mettere a posto strade e ferrovie, scuole e ospedali, borghi terremotati, fiumi e versanti instabili, creando assai più lavoro, stabile e diffuso, utile alla società, all’ambiente e alla dignità di chi lo svolge.