Firenze, 26 settembre 2014 – Sopravvissuti al tempo e all’usura, ai restauri architettonici, al cambiamento dei gusti e dei… mezzi di locomozione, i “ferri da facciata” adornano ancora oggi i muri di palazzi e edifici storici fiorentini. Utilizzati fin dal XIII secolo per legare i cavalli, sopravvivono come piccole opere d’arte che possiamo ammirare camminando per la città o, in alternativa, sfogliando il libro di John Superti intitolato I Cavalli di Firenze / The Horses of Florence (Sarnus, pp. 112, euro 19, testi in italiano e in inglese).
Gli arpioni da cavallo, utilizzati da chi doveva fare sosta presso un palazzo pubblico o una residenza privata, si sono col tempo trasformati da elemento funzionale a segno nobilitante e decorativo dei palazzi, a indicare la fama e la ricchezza del casato. La maggior parte di questi ferri è ornata da una serie di impressioni e tagli che in origine rendevano l’idea della testa di un leone, il ‘marzocco’ repubblicano simbolo del popolo fiorentino. Ma ben presto i fabbri, ispirati dall’estro e dalle influenze stilistiche provenienti dall’Europa, hanno iniziato a rappresentare gatti, cavalli, draghi e altri animali fantastici.
Quel che resta oggi è un repertorio di oltre sessanta varianti di sculture in ferro tra pezzi originali, copie, ed elementi forgiati riassemblando materiale antico, una galleria dove il gusto arcaico abbraccia quello moderno, e dove non mancano omaggi all’arte etrusca, nordica o asiatica.John Superti, artista americano innamorato dell’Italia – dove ha viaggiato a lungo assieme alla moglie Marian – ha raccolto gli esemplari in un volume illustrato a colori dove offre una breve storia dei ferri e dei palazzi a cui sono appesi.
Il libro, introdotto da un testo dello storico d’arte Claudio Paolini, offre così un tributo a una forma creativa, seppur primitiva, di arte italiana.