In concomitanza con il primo G7 della Cultura, che si svolgerà a Firenze il 30 e il 31 marzo prossimi, la Chimera di Arezzo sarà esposta eccezionalmente in Palazzo Vecchio, in Sala Leone X, dove la volle esibire Cosimo I de’ Medici dopo il suo ritrovamento alla metà del Cinquecento.Una ricollocazione, quindi, in linea con quanto avvenuto negli ultimi due anni: si tratta infatti del terzo evento che vede impegnata l’amministrazione comunale nella riproposizione – seppure temporanea – di contesti originali della Reggia medicea, dopo il ritorno degli arazzi medicei di Bronzino, Pontormo e Salviati nel Salone dei Dugento e la rievocazione degli orticini pensili di Eleonora di Toledo sul Terrazzo di Saturno.
Il nuovo progetto, promosso dal Comune di Firenze, è stato reso possibile grazie alla collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale di Firenze e ai generosi prestiti delle Gallerie degli Uffizi e della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.Insieme al bronzo del V-IV secolo a.C., usualmente custodito al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, troverà posto nella sala di Leone X anche una lettera inviata a Baccio Bandinelli negli anni Cinquanta del XVI secolo dal cav. Lorenzo de’Medici, documento di eccezionale significato conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze dove si trova tratteggiata velocemente a inchiostro la sagoma della Chimera (priva della coda come al suo rinvenimento).
Terzo elemento in esposizione sarà un busto in bronzo raffigurante Cosimo I, opera dello stesso Bandinelli, in prestito dalle Gallerie degli Uffizi.L’ultima apparizione della Chimera in Palazzo Vecchio risale all’epoca delle grandi celebrazioni medicee del 1980; sarà quindi data l’occasione a un nuovo pubblico di fiorentini e non di rivedere lo splendido manufatto d’arte etrusca nel contesto originario della Sala di Leone X, dove venne collocato in seguito al suo fortuito ritrovamento nel Cinquecento.La Chimera suggellò in modalità perfino spettacolari ed enfatiche il revival etrusco, promosso da Cosimo I de’ Medici con campagne e scavi archeologici, imprese letterarie ed erudite come quella dell’Accademia Fiorentina, con i contributi di Giovan Battista Gelli e Pierfrancesco Giambullari, o quella estranea all’ambiente toscano di Guillaume Postel, cui si deve la prima ‘monografia’ sull’Etruria nel 1551.
Perfino Giorgio Vasari pescherà nella storia toscana, teorizzando una primazia dell’arte etrusca nei confronti di quella classica, affidando il suo giudizio alla presenza della Chimera rinvenuta ad Arezzo il 15 novembre 1553, “dieci braccia sottoterra“ in prossimità del baluardo che si stava costruendo presso la porta di San Lorentino. Un rinvenimento inaspettato che desterà grande sorpresa e che contribuirà efficacemente alla riscoperta della passata grandezza toscana e alla definizione della figura di Cosimo come nuovo principe etrusco.
Ce lo ricorda Benvenuto Cellini: “essendo in questi giorni trovate certe anticaglie nel contado d’Arezzo, in fra le quali si era la Chimera, ch’è quel lione di bronzo il quale si vede nella camera vicino alla gran sala del Palazzo, ed insieme con la detta chimera si era trovato una gran quantità di piccole statuette pure di bronzo, le quali erano coperte di terra e di ruggine, ed a ciascuna di esse mancava o la testa o le mani o i piedi, il Duca pigliava piacere di ricettarsele de per se medesimo con certi cesellino da orefice.”Giunta immediatamente nel palazzo ducale fiorentino insieme agli altri reperti, infatti, l’impressionante scultura etrusca (parte di un donario assai prestigioso che comprendeva anche la figura di Bellerofonte a cavallo) venne collocata su suggerimento del Vasari nella magniloquente cornice della Sala Leone X, a simboleggiare le forze negative – gli eventi più disastrosi e contrapposti, i malvagi nemici – dominate da Cosimo nella costruzione di un nuovo e ideale regno di Etruria: come non mancò di sottolineare lo stesso Vasari, “ha voluto il fato che la si sia trovata nel tempo del Duca Cosimo il quale è oggi domatore di tutte le chimere”.Fin dal Cinquecento la Chimera è stata oggetto di studio erudito.
Le fonti confermano che Benvenuto Cellini si sarebbe dovuto occupare di restaurare la statua, ricostruendo la coda di cui l’animale era privo. Tale integrazione verrà eseguita però solo nel 1784 dallo scultore Francesco Carradori su indicazione di Luigi Lanzi, quando ormai la fiera – dal 1712, dopo quasi due secoli di permanenza nel Palazzo di piazza, dove non aveva mancato di stupire viaggiatori e ospiti di ogni provenienza – si trovava agli Uffizi. Dal XIX secolo, il bronzo è conservato al Museo Archeologico Nazionale di Firenze.Le prime notizie della bestia terrificante si hanno nell’Iliade, dove Omero la descrive composta di tre nature: di leone, capra e serpente.
Lanciava fuoco dalla bocca e venne uccisa dal casto Bellerofonte, figlio di Glauco, come predetto dagli dei. La troviamo citata anche nella Teogonia di Esiodo e nell’Eneide di Virgilio. Servio Onorato riporta che la bestia era originaria della Licia, dove si erge un vulcano con lo stesso nome. Alla base del vulcano strisciano serpenti, alle pendici brucano capre e in cima abitano leoni. Qui sarebbe stato partorito il mito. Per Plutarco, invece, Chimera sarebbe stato un pirata che aveva decorato le vele del suo vascello con immagini di leone, capra e un colubro.
Certo che l’animale, fantasioso intreccio di creature reali, è diventato il simbolo di qualcosa di impossibile e di fantastico, andando a incarnare, come ci ricorda Borges nel suo Manuale di zoologia fantastica, una vana immaginazione o un’idea falsa. Un incanto – o un monito – carico di significati anche per l’uomo di oggi.
Ai possessori del biglietto d’ingresso al Museo Archeologico sarà consentito l’accesso al Museo di Palazzo Vecchio col biglietto ridotto per tutta la durata dell’esposizione della Chimera.