Un anno di esatto di lockdown e alternanza tra zone bianche, arancioni e rosse.
Molti settori nel nostro paese sono in ginocchio: tra questi la ristorazione. Con la crisi del turismo dall'Italia e dall'estero, lo scarso entusiasmo per gli spostamenti urbani (anche quando possibili) e la fascia serale (la cosiddetta “dine out” fondamentale per i ristoranti) quasi mai utilizzata nell'ultimo anno, come può un'impresa ristorativa sopravvivere alla pandemia? Le statistiche sono drammatiche e non lasciano dubbi a interpretazioni. Secondo una recente indagine della FIPE – Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, associazione di categoria dei ristoratori – nel 2020 hanno chiuso oltre 22.000 imprese a fronte di circa 9.200nuove aperture.
Nella prima fase, da marzo fino al re-opening estivo 2020, tutti i ristoranti hanno scoperto e utilizzato le formule take away e delivery, fino a quel momento appannaggio di poche avanguardie per lo più distribuite tra le pizzerie. Ma con la seconda ondata, un'apertura della sala solo in fascia diurna (dove già i prezzi sono più bassi) e il settore di mercato asporto/consegna a domicilio ormai saturo di competitors, molti ristoranti sono stati costretti alla chiusura. Cosa fare quindi per resistere nel 2021?
Casa della Nella, ristorante nel cuore del centro storico fiorentino, in piazza Ghiberti – già noto per ospitare lo storico concorso gastronomico “La migliore schiacciata alla Fiorentina” e per aver vinto il contest televisivo “Restaurant Swap” tuttora in replica sul Nove – ha deciso di inserirsi in un nuovo segmento di mercato: quello degli ambulanti con una sorta di street food che propone prodotti da mangiare nelle vicinanze o precotti da portare direttamente a casa.
“Come tutti i ristoranti italiani, anche noi siamo stati fortemente penalizzati dall'assenza di turisti – spiega Massimo Cortini – e dal fatto che i nostri clienti abituali del pranzo ormai da un anno lavorano quasi tutti da casa in smart working. Inoltre l'asporto e il delivery sono formule che al massimo andavano bene in una prima fase, anche se sul delivery ne avrei molte da dire. Un esempio? I grossi marchi si tengono quasi i ¾ del fatturato e con alcuni puoi lavorare solo utilizzando un tablet fornito da loro. Non parliamo poi delle app personalizzate per il “fai da te” che costantemente cercano di venderti a cifre superiori a 10.000 euro”.
“E i ristori? Andavano certamente fatti in modo diverso, restituendo i soldi dell'affitto e delle bollette. Noi siamo un posto piccolo e spendiamo 1500 euro al mese per la location e 400 per l'energia elettrica, ma sono arrivati complessivamente 6.000 euro nel 2020 e 2.000 euro per il 2021”.Vista la vicinanza col Mercato di Sant'Ambrogio, ecco allora l'idea di provare qualcosa di completamente nuovo e complementare: il settore ambulanti & street food. Il Banco della Nella, aperto i primi giorni di marzo, propone non solo panini, schiacciate, focacce e pinze di propria produzione, accompagnate con gli affettati e i formaggi di alcune eccellenze toscane (i salumifici Magazzini e Cerboni e il caseificio Palagiaccio) ma anche dolci fatti in casa (lo chef Massimo Cortini è anche Maestro fornaio e pasticcere dal 1985) e alcuni primi e secondi piatti del ristorante gustabili sotto forma di street food in vaschette (lasagne, moscardini, trippa, lampredotto, contorni di stagione).
“Ho voluto festeggiare un anno di pandemia in modo costruttivo e senza continuare a lamentarmi. Ci siamo informati se c'erano posti liberi nei posti esterni al Mercato e, una volta avuta risposta positiva, abbiamo deciso di tuffarci in quest'avventura. Sono innamorato della buona cucina e dei prodotti di qualità –prosegue Cortini – perciò ho deciso di mettere in vendita anche vari tipi di farine, come la multicereali con cui faccio il mio pane, la Dimarco, la Senatore Cappelli e altre biologiche, e proporre ai clienti del Mercato il pane e le pinze sia finiti che semifiniti, per chi vuol terminare la cottura a casa propria. Anche la pasta fresca è fatta in modo artigianale da me e le verdure sono a Km zero e cotte in sottovuoto a bassa temperatura”.
“Che cosa mi aspetto da questa nuova esperienza? Che non sia una fase provvisoria per restare a galla, ma l'inizio di una nuova forma di impresa non alternativa ma complementare al ristorante. D'altronde la ristorazione classica è destinata a cambiare e ad aggiornarsi continuamente e credo che la pandemia modificherà non di poco le abitudini dei clienti in futuro”.