FIRENZE- Il XVII Secolo è solitamente visto per la città di Firenze come un periodo di decadenza, con gli splendori del Rinascimento ormai definitivamente tramontati, e il conseguente ruolo marginale che la città rivestì sulla scena europea e mondiale. In realtà, almeno fino a tutto il regno del Granduca Cosimo II, la città, e la Toscana, godevano di una certa considerazione internazionale, come dimostrano i sin qui misconosciuti rapporti intrattenuti dalla corte medicea con l’Emiro libanese Fakhr ad-Dīn al-Ma'n II, che fu uomo politico assai influente nell’Impero Ottomano, e governatore della Galilea, nonché, come a tutt’oggi è considerato in patria, fondatore storico del Libano moderno, che si sentiva vicino all’Europa sin dal XIII Secolo, quando vi fiorivano le colonie commerciali genovesi.
Sulle sue mire autonomiste, insofferenti dell’autoritarismo della Porta, si incastona la politica commerciale dei Medici che guardavano a Oriente, e sostenevano con armi e contributi in denaro le varie rivolte contro il potere centrale. Fakhr ad-Dīn, che stava costruendo un libano cosmopolita, fra drusi, ebrei, sunniti, sciiti, maroniti, e aperto anche ai cristiani pur di ingrossare le file del proprio esercito, mantenne stretti rapporti con i Medici, al contempo barcamenandosi in un’ambigua politica verso Costantinopoli.
Alla base dell’alleanza con la Toscana, ma anche altri Stati europei, la promessa di cessione dei Luoghi Santi, (l’accordo con il Granduca prevedeva la facoltà di trasferire il Santo Sepolcro in Toscana, ricostruendolo nella Cappella dei Principi in San Lorenzo), oltre a vantaggiose intese commerciali. La vagheggiata ribellione e scissione del Libano non si tradussero in realtà, e ormai caduto in disgrazia, l’Emiro fu costretto all’esilio, e il 15 settembre del 1613 salpò alla volta della Toscana, da dove avrebbe intrapreso un viaggio lungo cinque anni che lo avrebbe portato fino al regno di Napoli.
Un’avventura ricostruita nel bel volume Viaggio in Italia. La Toscana dei Medici e il mezzogiorno spagnolo nella descrizione di un viaggiatore orientale, prezioso e illuminante carnet de voyage curato dalla storica dello spettacolo Maria Alberti per i tipi di Jouvence, e presentato il 27 febbraio a Palazzo Medici Riccardi. Il libro, spiega la curatrice, è nato durante lo studio di documenti d’archivio sul famoso “Ballo delle Donne Turche” che ebbe luogo a Palazzo Pitti per il Carnevale del 1614; dai testi, emerge la presenza a Firenze dell’Emiro, una figura che ha poi voluto approfondire riproponendo il suo viaggio in Italia, traducendolo da una versione meno dotta di quella ormai classica di Paolo Carali del 1936. Presentarlo a Palazzo Medici Riccardi, significa riallacciarlo alle vicende dell’Emiro, che qui fu ospitato durante il suo soggiorno a Firenze, dove giunse il 10 novembre 1613, dopo aver soggiornato a Pisa ed essere rimasto affascinato dalla celebre Torre pendente.
Da qui prende le mosse un lungo viaggio di conoscenza, affrontato senza pregiudizi di sorta, nonostante la profonda diversità culturale. Ma si tratta di un’epoca in cui i rapporti fra l’Islam e l’Occidente erano ancora pacifici, senza quell’esacerbazione che la politica coloniale ottocentesca avrebbe contribuito a far nascere. L’Emiro restò affascinato dalla Firenze dell’epoca, e ne apprezzò tanto le bellezze artistiche, quanto gli usi e i costumi, e persino l’amministrazione politica.
Se ne ritrovano interessanti spaccati nella descrizione delle feste di Carnevale, durante le quali il nostro resta stupito per la familiarità con la quale uomini e donne ballavano insieme, un’intimità non certo permessa dai costumi musulmani di allora. E ancora, appunti sulla frangitura delle olive, sulla caccia, sulla relativa libertà di stampa concessa dal Granduca, sul sistema bancario e fiscale, i conventi e gli ospedali. Niente sfugge all’occhio attento e curioso di un viaggiatore atipico, costretto all’esilio politico, ma che approfitta delle circostanze per conoscere una cultura così diversa dalla sua.
E lo fa con capacità d’osservazione, ma anche con poesia, rendendo, ad esempio, tutto lo sfarzo delle feste carnevalesche dell’epoca, o la bellezza della Firenze medicea. Altrettanta meraviglia e curiosità, Fakhr ad-Dīn riserva per il suo viaggio nel Regno di Napoli. Nell’opinione di Franco Cardini, intervenuto alla presentazione, si tratta di un libro importante perché rappresenta uno dei più approfonditi dialoghi fra il mondo musulmano e l’Occidentale cristiano.
In questo periodo nasce la fascinazione per la cultura orientale, attrazione esemplificata nella persona del Granduca che si fa ritrarre in abiti dalle fogge turche. L’influenza fu comunque reciproca, poiché l’Emiro, tornato in patria, ricostruì il Giardino di Boboli all’interno della sua residenza in Libano, che purtroppo andò distrutta nell’Ottocento. Il libro restituisce una pagina di storia fiorentina, che guarda oltre il Rinascimento, ed è arricchito dall’inserimento nel testo di pagine d’archivio, tratte dalle cronache dell’epoca. Il viaggio in Toscana si conclude nell’estate del 1615, quando Fakhr ad-Dīn rientra in patria certo dell’amnistia, senza che i vagheggiati accordi militari abbiano trovata una concretizzazione.
Stessa sorte avrà il soggiorno nel Regno di Napoli, ma al di là dei risultati politici cercati dall’Emiro, di lui resta questo straordinario diario di viaggio, che testimonia una dialogo senza pregiudizi fra Oriente e Occidente, scaturito dalla raffinatezza intellettuale di una personalità non comune quale fu appunto Fakhr ad-Dīn. di Niccolò Lucarelli