FIGLINE V.NO (Firenze)- Il patrimonio rinascimentale toscano si concentra abitualmente attorno a pochi grandi nomi, che nona torto ne vengono ritenuti l’essenza, estetica quanto concettuale. Ma a fianco dei vari Donatello, Michelangelo, Raffaello, Leonardo, operò una miriade di artisti che, seppur non assurti alla fama mondiale dei più illustri colleghi, seppero comunque interpretare, legando il loro lavoro a territori del contado fiorentino ancora oggi non abbastanza conosciuti dal grande pubblico.
È il caso di Figline Valdarno, che dopo la mostra dedicata al Cigoli nel 2008 e quella dedicata a Masaccio e i suoi precursori nel 2010, torna a essere “Città degli Uffizi” con Arte a Figline. Da Paolo Uccello a Vasari, una mostra che, come sostiene la Soprintendente Acidini, è una convinta dichiarazione di fiducia nella cultura, quale strumento imprescindibile per la tanto sospirata svolta economica, che il Paese invoca da anni. Quando c’è la volontà politica, l’investimento culturale è sempre possibile; i Comuni che hanno aderito al ciclo de La città degli Uffizi hanno al contempo registrato un discreto andamento economico nel periodo delle mostre, con un aumento delle presenze in bar, ristoranti, e alberghi.
Il territorio può quindi essere una risorsa, ma è necessario investirci. Per farlo, bisogna conoscerlo, e reintrodurre l’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole, è l’unico mezzo veramente efficace per raggiungere lo scopo. Disgraziatamente, l’Italia ancora arranca. L’iniziativa, ideata da Antonio Natali, Direttore degli Uffizi, è volta a sfruttare l’immagine della celebre Galleria per valorizzare i territori periferici dell’arte toscana, ma non per questo secondari quanto a valore artistico e paesistico.
La mostra, curata da Nicoletta Pons, indaga il periodo a cavallo tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento (con propaggini nella fine del XVI Secolo), attraverso 25 opere che provengono nella quasi totalità da Figline e l’alta Valle dell’Arno; pale d’altare, imponenti o di dimensioni più contenute, espressioni di artisti di grido o eseguite da colleghi meno raffinati, tutte però permeate di quello spirito fiorentino e umanista che era la cifra dell’arte dell’epoca; e ancora sculture, crocifissi, affreschi e predelle, che uniscono lo scopo artistico a quello devozionale delle campagne. Le antiche e suggestive sale di Palazzo Pretorio ospitano la mostra arricchendola con un allestimento di pannellature rosse, sobrie ed eleganti insieme, che esaltano la parca bellezza delle opere, tipicamente toscane, mai magniloquenti ma sempre a misura d’uomo, che è poi la cifra più autentica del Rinascimento.
Cuore della mostra, la sala dei dipinti, scrigno prezioso che racchiude opere poco note, quali l’Annunciazione della Pieve di San Romolo a Gaville, o l’Ultima cena del Vasari. La prima tavola, eseguita da un pittore della scuola del Ghirlandaio, è mirabile esempio dell’ultimo Quattrocento fiorentino, qui giocato più sulla gamma cromatica di rosa, rosso e giallo, che sull’impostazione spaziale. Tuttavia, la sobrietà della camera della Madonna tradisce un gusto architettonico squisitamente classicheggiante, e il drappeggio delle vesti si rifà alla moda del tempo.
Il paragone con il maestro è suggerito dall’Annunciazione di Reggello, questa dipinta da Ridolfo del Ghirlandaio, e dove la più evidente grazia estetica ed espressiva dei due personaggi rivela la mano del grande artista, riscontrabile anche nel sontuoso panneggio delle vesti. La vasariana Ultima cena, eseguita fra il 1567 e il 1569 già mostra il passaggio dall’ultimo Manierismo alle prime atmosfere barocche. Un’aura scura e chiesastica avvolge la scena, con il solo Cristo illuminato da una mistica aureola, la cui luce si diffonde tenuemente anche sugli Apostoli; la tensione muscolare di questi si allontana dalla leggiadria rinascimentale, per calare i personaggi in una inquietudine non più soltanto psicologica, ma anche e soprattutto fisica.
Ancora del Vasari, spiccano in mostra le quattro tavole delle Allegorie, originariamente poste sul soffitto della casa dell’artista. Infine, spendiamo alcune parole sulla terracotta invetriata di Luca della Robbia, raffigurante San Giuseppe, quasi in veste di filosofo greco, le mani scarne e lo sguardo pensoso. Risalente al primo decennio del Cinquecento, la statua simboleggia il pensiero umanistico rinascimentale, sospeso tra Fede e Ragione. Per l’attenta scelta delle opere esposte, provenienti da differenti committenze, la mostra è un’occasione per indagare il rapporto fra territorio e tessuto sociale, in un momento storico di grande splendore per la Toscana. Per meglio apprezzare le peculiarità di Figline, alla mostra è abbinato anche un itinerario consigliato che si snoda fra l’Oratorio della Visitazione, la Collegiata di Santa Maria, e le chiese di San Francesco e della Santa Croce, che ancora conservano splendidi affreschi e sculture contemporanee alle opere esposte a Palazzo Pretorio.
La mostra è visitabile dal 19 ottobre al 19 gennaio 2014, tutti i giorni in orario 9-13 e 15-19. Ingresso libero. di Niccolò Lucarelli