FIRENZE - Fra i monumenti meno conosciuti della Città del Fiore, la Cattedrale Russa Ortodossa nasconde tuttavia una storia affascinante, che riporta all’epoca fastosa dell’Impero Zarista, delle comunità straniere in città, e del clima cosmpolita che vi si respirava. Alla metà dell’Ottocento, la comunità russo-ortodossa fiorentina non era particolarmente numerosa, ed era costituita principalmente da aristocratici. Tra questi, quella dei Demidov era forse la più influente famiglia residente nella città. La costruzione della cattedrale si deve all’iniziativa dell’arciprete Vladimir Levitskij, giunto a Firenze intorno al 1878 sin dall'inizio ebbe un progetto ben preciso: quello di convincere l'ambasciatore russo allora di stanza a Firenze a costruire una chiesa ortodossa in città.
"Qui l'ortodossia ha subito una grave offesa con la famigerata Unione di Firenze. Una maestosa chiesa russa sarebbe la migliore espiazione dell'involontario peccato commesso", scriveva il sacerdote. L'offesa di cui la città toscana si era macchiata, era il famigerato concilio del 1439, voluto dall'Imperatore Giovanni Paleologo, dal Patriarca d'oriente, Giuseppe, e da Papa Eugenio IV, per rifondare l'unità tra i cristiani venuta meno con lo scisma del 1054. Un incontro per studiare le strategie più opportune per battere il nemico comune e salvare non solo il potere dell’Imperatore e di Costantinopoli, ma anche la cristianità nei confini orientali dell’Impero.
L'accordo di Firenze, sulla carta, fu raggiunto, ma il concilio si rivelò, a livello popolare, un fallimento. I fedeli delle differenti Chiese rifiutarono ogni tentativo di unione, e Marco di Efeso fu l'unico metropolita bizantino presente al concilio, a non firmare il documento di unione. La sua posizione ebbe una grande risonanza nel mondo ortodosso ed è oggi venerato come Santo dalla Chiesa russa. Con la benedizione di Isidoro, metropolita di San Pietroburgo e responsabile delle parrocchie russe all'estero, la Chiesa fu progettata dall'architetto Préobraženskij di San Pietroburgo, progettista tra l'altro delle cattedrali di Nizza e di Tallinn, e della chiesa della Trasfigurazione di San Pietroburgo.
La prima pietra fu posata l’11 giugno 1899. Secondo la testimonianza del cappellano dell'ambasciata padre Levitzkij, la cerimonia fu "festosa e ben riuscita". Nell'ottobre 1902, la chiesa inferiore "invernale" fu consacrata a San Nicola, in ricordo della cappella di San Nicola dei principi Demidov. Ottobre 1902 giunsero a Firenze i pittori russi Vasil'ev, Blaznov e Kiplik con gli aiutanti Cepcov e Kuzminskij per le pitture murali a tempera dell'interno, da eseguirsi sotto la supervisione di Vasilev e del pittore fiorentino Giacomo Lolli, al quale veniva lasciata la realizzazione delle parti ornamentali.
L'anno seguente, la chiesa alta "estiva" fu completata e consacrata alla Natività di Cristo. Nel 1911, un decreto speciale dell'Imperatore sancisce la destinazione dell'edificio a chiesa russa cittadina. Lo zar Nicola II donò l'iconostasi di marmo dell'edificio superiore, i Demidov, famiglia russa da lungo tempo "fiorentina", regalarono alla chiesa inferiore le icone e il magnifico portone ligneo, opera di un insigne incisore fiorentino, da cui si accede alla chiesa "estiva". La basilica, benedetta e inaugurata nel 1903, diventò un porto sicuro per i rifugiati in fuga prima dalla rivoluzione del 1917 e poi dalla ii guerra mondiale.
Tanto che la via dove sorge la basilica, via Leone x, fu ribattezzata in quegli anni "via degli emigranti". I soggetti degli affreschi furono scelti in accordo con i canoni tradizionali, e furono approvati dal prof. Pokrovskij, direttore dell'Istituto archeologico di San Pietroburgo, esperto in iconografia. Riguardo ai temi da raffigurare nelle pitture murarie, fu scelto di rappresentare in affresco due santi raramente presenti nell'iconografia russa: san Fozio e san Marco d'Efeso. Ciò fu fatto affinché la chiesa russa di Firenze potesse essere considerata un monumento eretto in espiazione del trattato di unificazione tra la Chiesa Ortodossa e quella Romano-Cattolica, che fu approvato proprio in Firenze, nel 1439, e al quale la Chiesa russa non aderì perché l’allora vescovo di Efeso si oppose fermamente alla ratifica del trattato d'unione.
La raffigurazione di san Fozio, patriarca di Costantinopoli nel IX secolo, si deve alla sua ferma opposizione all'inserimento nel Credo della formula romana del filioque. Sorprendono i ritratti di quattro Papi della chiesa di Roma, raramente raffigurati nelle chiese russe. Tra questi, san Clemente, quarto vescovo di Roma, che morì martire in Crimea, ove fu deportato dall'Imperatore Traiano, San Gregorio Magno e san Leone Magno, pilastri della fede della Chiesa indivisa. Molte le curiosità storiche che impreziosiscono il tesoro della cattedrale: gli stendardi da processione disposti ai lati dell’ingresso della chiesa superiore sono stati testimoni delle funzioni pasquali celebrate a Parigi in Place de la Concorde nel 1814.
Fu la prima Pasqua festeggiata nella chiesa da campo dell’imperatore russo Alessandro I, dopo la presa della capitale francese dalle truppe russe, Nel nartece, a sinistra dell’ingresso, su un semplice portale di legno è appesa la campana dell’incrociatore “Almaz” (Diamante). Questo incrociatore riuscì, unico superstite della battaglia di Tsushima durante la guerra russo-giapponese del 1905, a raggiungere da solo Vladivostok, nonostante i numerosi guasti subiti. Una reliquia della chiesa è la croce-reliquario appartenuta al metropolita Filarete Romanov (in seguito Patriarca di Mosca e di tutte le Russie) entrata poi a fare parte del tesoro della casa regnante dopo l’elezione a Zar del giovane Michele Romanov, ancora sedicenne.
I Romanov pregavano davanti a questa croce fino al 1698, quando Pietro I, volendo sposare Anna Mons, ripudiò la prima moglie, Eudossia, nata Lopukhina, rinchiudendola in un monastero di Suzdal’. Essa prese la croce con sé e da quel momento il reliquario passò dalla casa dei Romanov alla famiglia Lopukhin. L’ultima Lopukhina di questo ramo morì a Firenze nel 1922, lasciando la croce alla chiesa sull’altare della quale è ancora oggi conservata. Niccolò Lucarelli