Alla fine è stato il Gruppo Gucci ad aggiudicarsi la storica azienda di porcellana di Sesto Fiorentino Richard Ginori finita in fallimento; anche perché a dirla tutta quella della grande maison guidata da Patrizio Di Marco è stata anche l’unica offerta pervenuta al Tribunale fallimentare di Firenze. Tredici i milioni sul piatto e la promessa di 235 riassunzioni su 305. Un bell’esempio di solidarietà tra eccellenze del Made in Florence e del Made in Italy che pur potendo contare entrambe sul riconosciuto pregio dei loro manufatti hanno avuto in sorte destini e soprattutto fatturati diversi.
Entrambe sono partite da ingegni, mani e piccole botteghe fiorentine, entrambe producendo oggetti di lusso si sono guadagnate l’ammirazione internazionale che storicamente si tributa al talento italiano, da sempre esportatore di arte e bellezza. Eppure mentre la Gucci è oggi tra le case di moda con un fatturato miliardario, la Ginori invece, a causa di una gestione poco chiara, ha dovuto dichiarare fallimento rischiando di veder disperdere per pochi milioni di euro tutta la sua storia e i suoi gioielli in porcellana.
“Non si possono trattare le gemme come pezzi di carbone” ha sentenziato Di Marco che una volta ufficializzata l’acquisizione ha immediatamente tracciato l’orizzonte a cui tendere: lo sviluppo della Ginori si potrà ottenere innanzitutto tramite investimenti in ricerca e sviluppo, poi verrà anche l’occupazione. In effetti più volte si è detto a proposito delle preziose ceramiche della Ginori che la richiesta c’era eccome, che il mercato della porcellana di pregio era tutt’altro che in crisi, ma allora dov’è l’inghippo? Cosa ha funzionato nell’una e nell’altra no tanto che oggi la prima è ‘costretta’ a comprare l’altra per salvarla da una fine sicura? La vera e sostanziale differenza inizia quando il marchio pur restando italiano nella competenza, nella scelta del personale e materiali cambia proprietà: Gucci è oramai da diversi anni fa parte della holding francese Kering, nuovo nome della PPR (acronimo per Pinault -Printemps- Redoute).
Quando si parla di cibo e di moda il made in Italy è una garanzia non solo di qualità ma anche di vendita, eppure la ricetta del successo da un po’ di anni sembra essere sempre la sessa: tutto ma proprio tutto deve restare italiano, tranne chi ci mette i soldi. Non c’è bisogno di scomodare la Gioconda di Leonardo per ricordarci, nostro malgrado, che i francesi a fare soldi con i ''gioielli''(e non solo in senso figurato) italiani sono dei maestri. Anzi sembrerebbe proprio che i nostri cugini d’Oltralpe abbiano deciso di non farsene sfuggire una, acquisendo progressivamente e con la dovuta fierezza i più prestigiosi brand dello stile italiano.
La Ginori è uno degli ultimi esempi e nemmeno l’ultimissimo. È notizia di poche ore fa della cessione della Pomellato, nota aziende produttrice di monili e preziosi alla Kering, lo stesso gruppo che già si impossesso di Gucci, Bottega Veneta, Brioni. Il gruppo ha così all’attivo uno dei portafogli di marchi di lusso più importanti al mondo. I ''gioielli'' dela Ginori ora forse potranno cominciare a risplendere. Filomena D'Amico In foto l'Amministratore Delegato della Gucci Patrizio Di Marco