Passi avanti nella scoperta delle cause di una forma frequente di morte improvvisa. Un gruppo multidisciplinare di ricercatori dell’Università di Firenze ha recentemente pubblicato sulla rivista internazionale “Circulation” un articolo (“Late Sodium Current Inhibition Reverses Electromechanical Dysfunction in Human Hypertrophic Cardiomyopathy”) sulla cardiomiopatia ipertrofica, che ha documentato per la prima volta nelle cellule prelevate da cuori di pazienti affetti da questa malattia le alterazioni che possono causare morte improvvisa. Gli scienziati fiorentini - coordinati da Alessandro Mugelli, ordinario di Farmacologia e direttore del Dipartimento NeuroFarBa (Neuroscienze, Area del Farmaco e salute del Bambino) dell’Università di Firenze - hanno utilizzato piccoli campioni di tessuto provenienti dal cuore di pazienti affetti da questa patologia che necessitavano di un intervento cardiochirurgico.
I pazienti erano seguiti presso il Centro di Riferimento Regionale per le Cardiomiopatie dell’Azienda Ospedaliero - Universitaria di Careggi, attualmente diretto da Iacopo Olivotto. “La cardiomiopatia ipertrofica - spiega Alessandro Mugelli - rappresenta la più comune malattia cardiaca su base genetica; è una condizione che può interessare lo 0,5 per cento della popolazione generale ed è caratterizzata dall’ispessimento del muscolo cardiaco senza che sia dimostrabile una causa apparente.
I sintomi clinici, che comprendono aritmie e dolore toracico durante l’esercizio fisico, si manifestano più frequentemente entro i vent’anni ma possono manifestarsi ad ogni età”. La patologia può evolvere lentamente nel tempo, senza praticamente dare sintomi, o aggravarsi riducendo in modo importante la qualità della vita dei pazienti, o può, in rari casi, manifestarsi drammaticamente con la morte improvvisa. La cardiomiopatia ipertrofica è la causa principale di morte improvvisa nei giovani atleti, apparentemente sani; fino ad oggi non esiste una terapia specifica. Il team di ricerca, caratterizzato da competenze e professionalità diverse (fisiologi, farmacologi, biologi molecolari, cardiologi, cardiochirurghi) ha identificato, usando molteplici tecniche sperimentali, una delle principali alterazioni nelle cellule dei cuori malati: l’eccesso di una corrente di membrana, la corrente tardiva del sodio, responsabile a sua volta di altre alterazioni elettriche e meccaniche caratteristiche della malattia.
“E’ stato possibile dimostrare – illustra ancora Mugelli - che un bloccante selettivo di questa particolare corrente, la ranolazina, era in grado di migliorare sensibilmente la funzione delle cellule malate. Questi dati sono alla base della decisione di iniziare da parte dell’industria farmaceutica che in Europa commercializza ranolazina, uno studio clinico internazionale (coordinato da Gian Franco Gensini, ordinario di Medicina interna presso l’Ateneo fiorentino) per valutare l’efficacia del trattamento con questo farmaco in pazienti con cardiomiopatia ipertrofica”. “Se i risultati dello studio clinico saranno positivi - conclude Alessandro Mugelli - avremo dato un contributo fondamentale alla comprensione e al trattamento di questa importante patologia”.
La ricerca, i cui primi autori sono i ricercatori fiorentini Raffaele Coppini e Cecilia Ferrantini, è stata finanziata da fondi pubblici e privati: la Comunità Europea, Telethon, il MIUR, A. Menarini, Gilead Sciences e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. “Questo lavoro – dichiara Elisabetta Cerbai, prorettore alla ricerca dell’Ateneo Fiorentino - può essere considerato come la conclusione di una serie di studi che hanno visto il nostro gruppo impegnato da molti anni nella ricerca e getta le basi per un nuovo trattamento salva vita”.