Dal 18 luglio al 17 ottobre 2010 in quattro sedi museali della Provincia di Grosseto si terrà la mostra Joan Mirò. Universi magici. Una mostra unica e al tempo stesso quattro mostre in contemporanea e un solo grande progetto espositivo. Al Museo Archeologico e d’Arte della Maremma di Grosseto, alla Pinacoteca Civica Amedeo Modigliani di Follonica, alla Fortezza Orsini di Sorano e alla Raccolta d’Arte di Palazzo Nerucci di Castel del Piano, infatti, negli stessi giorni saranno allestite quattro mostre sulla produzione grafica del grande artista catalano.
Quasi duecento opere tra illustrazioni di libri e grafica, daranno vita a quattro mostre dotate ognuna della propria autonomia e, al tempo stesso, ognuna tassello di un grandioso racconto fantastico. Curato da Maurizio Vanni e organizzato dalla Rete Museale della Provincia di Grosseto in collaborazione con Comediarting e con il partenariato dell’APT Grosseto e con il finanziamento della Provincia, della Regione, della Banca Monte dei Paschi di Siena e di Maremma Tuscany, e con la collaborazione di Comunità Montana Amiata Grossetano e dei comuni di Casteldelpiano, Follonica, Grosseto e Sorano, l’evento espositivo Joan Mirò.
Universi Magici, accompagnerà il visitatore in un percorso attraverso gli “universi” di Mirò, e al tempo stesso alla scoperta di alcuni dei luoghi più belli e incantati della Maremma. La mostra presenta due aspetti della produzione artistica, la grafica e l’illustrazione di libri appunto, da considerarsi tutt’altro che secondari nella produzione dell’artista. Nell’incisione, l’artista spagnolo trovò infatti il medium pertinente a manifestare gli aspetti più inaspettati del suo modo di intendere la vita.
La carta diventa un mezzo particolarmente adatto a creare immagini e composizioni che non avrebbe potuto ideare in altri modi. Dalla sua prima litografia del 1930 per “Les Cahiers d’Art” fino alle sue ultime realizzazioni monumentali, Miró ha continuato a indagare, nell’esaltazione di una libertà espressiva inusitata, i materiali, i segni, i colori, le superfici e le luci proprio sfruttando le peculiarità di ogni tecnica incisoria. La sua grafica ci offre la possibilità di comprendere appieno la sua grande inventiva, di apprezzare la sua fantasia e di entrare nel suo mondo attraverso un ingresso poco monitorato. Quello per l’arte poetica fu poi per Mirò un amore ricompensato: l’artista spagnolo cambiò infatti le modalità del rapporto tra l’artista visivo, generalmente chiamato ad illustrare un testo, e lo scrittore; infatti inaugurò una modalità inedita dove il pittore non si limitava a corredare di illustrazioni la parte scritta, ma partecipava alle emozioni del poeta, condivideva il filo conduttore legato agli stati d’animo e, a sua volta, interpretava attraverso la propria arte.
Ne scaturivano veri e propri libri a quattro mani dove ciò che poteva essere definita illustrazione si trasformava in un percorso soggettivo complementare al pensiero poetico. Sei gli album in mostra, che l’artista realizzò dagli anni 50 in poi, da alcuni tra i più famosi sino ad alcuni ancora poco noti in Italia. “Parler seul” fu presentato nel 1950. Miró avrebbe dovuto realizzare un libro d’artista partendo dal testo che Tristan Tzara aveva scritto durante la sua permanenza nell’ospedale psichiatrico di Saint-Alban nel 1945.
Il testo del poeta rumeno, una perfetta fusione tra il lucido caos dadaista, la cosciente visionarietà – in certi casi legata a stati di trance creativa – dei surrealisti, fu supportato da 72 litografie che l’artista spagnolo pensò come una sorta di forma di dialogo interattivo con il testo, arrivando a completare, concettualmente, una delle prime opere verbo-visive. Ne scaturì una vera e propria opera indipendente dove la scansione incalzante delle parole è alimentata da un susseguirsi armonico e incisivo di segni, forme, colori e superficie.
Nelle serie “Anti-Platon, La lumière de la Lame, Saccades” realizzata nel 1962, Miró affronta tre diversi poemi dialogando visivamente con versi poetici attraverso la ripetizione di alcuni elementi-forma archetipici e sperimentando le elevate possibilità espressive delle cromie. Questo portfolio comprende l’interazione visiva con tre amici-scrittori con i quali amava condividere esperienze artistiche: Ives Bonnefoy, André du Buochet e Jacques Dupin. Le serie si sviluppano per mezzo di un particolarissimo racconto visivo basato sulla variazione di una sola immagine.
Ogni testo, infatti, è caratterizzato da una stessa figura ripetuta sette volte, ma modificata, alterata, violata e proiettata in dimensioni altre con interventi decisi di colore. Per queste sue atipicità e per questa sua condizione di ricerca basata sull’utilizzo estremo del colore, questa raccolta risulta essere unica nel suo genere. “Quelques fleurs pour des amis” è un album pubblicato nel 1962 con una prefazione di Eugène Ionesco che riunisce 32 d’après in litografia colorata al pochoir dedicate a diversi personaggi che hanno fatto parte della vita dell’artista: da editori ad artisti, da autori a personaggi del mondo dell’arte come Max Ernst, Nina Kandinsky, Henry Matisse, Fernand Mourlot, Aimé Maeght, Marlene Dietricht, ecc.
I colori tipici di Miró – giallo, rosso, blu e verde – si combinano sottoforma di tratti marcati alternati a segni scuri più leggeri. Nella maggior parte di questi lavori il colore non occupa più un ruolo fondante e determinante, ma è come se dovesse scandire il ritmo del costante dinamismo di un tempo esistenziale. Un approccio simile segnicamente, ma cromaticamente quasi opposto, fu tenuto per “Ubu roi”, pubblicato nel 1966 dall’editore Triade: probabilmente la serie più interessante dell’intero suo corpus.
In “Ubu roi”, l’artista spagnolo si rapporta con un testo teatrale di Alfred Jarry, edito per la prima volta nel 1896: la commedia, che narra le vicende di un avido e insolente Padre Ubu – personaggio stravagante le cui funzioni materiali esercitano il dominio su quelle cerebrali –, e della sua crudele ricerca di arrivare al potere, è considerata un’opera anticipatrice di molti degli elementi che furono alla base del Surrealismo e del Teatro dell’Assurdo. “Ubu roi” è una serie composta da 13 tavole in bianco e nero e altrettante a colori in cui Ubu rappresenta la caricatura di ogni meschinità e bassezza umana: un’occasione colta al volo da Miró per manifestare un qualcosa che non avremmo potuto vedere solamente per mezzo del senso della vista.
La serie “Les penalités de l’Enfer ou les novelles-hebrides” pubblicata nel 1974, è dedicata all’opera del poeta surrealista Robert Desnos, che Miró conobbe lo scrittore nel 1925. Dalla loro amicizia nacque l’idea per un libro a quattro mani, ma la crisi del 1929 prima, la guerra di Spagna e la seconda Guerra Mondiale non permisero la realizzazione del progetto. Solo in un secondo momento, Miró iniziò a lavorare a un manoscritto inedito, concesso dalla moglie di Robert e che verrà pubblicato nel 1974.
Nacquero 25 litografie in cui l’artista iniziò ad abbandonare la forma per sperimentare le prime composizioni completamente astratte: le superfici si dinamicizzano diventando luoghi imprevedibili di sperimentazioni segniche e materiche, mentre le forme, che man mano si allontanano da riferimenti al dato reale, si stagliano dallo spazio diventando autoreferenziali. Nella serie “Meraviglie con variazioni”, Miró è protagonista di un Surrealismo maturo e, probabilmente, più consapevole e controllato in cui il poema di Rafael Alberti – tra i maggiori poeti iberici del Novecento a cui si deve la nascita del Surrealismo in Spagna – e il lavoro visivo si fondono e, al tempo stesso, si confondono.
La serie vuole essere un omaggio alla “nuova” visione della vita che Miró percepiva come un giardino nel quale scorgere e godere di meraviglie offerte dalla natura, ma anche legata alla capacità dell’uomo di vedere le cose oltre il loro apparire. Ne risultano strutture segnico-cromatiche dove è possibile percepire figure e volti di donna, uccelli e libellule, formiche e farfalle, oppure dei semplici tratti che contengono e incoraggiano il colore a muoversi all’interno di un preciso contesto.