“Il fatto che la Madonna del Cardellino ritorni visibile ai fiorentini e al mondo intero rappresenta un’opportunità straordinaria per tutta la città. Sono orgoglioso di essere il Presidente della Provincia di Firenze, specialmente in questa occasione che permette a Palazzo Medici di ospitare l’opera di Raffaello diventando così motivo di attrazione e di interesse culturale per migliaia di turisti. Un grazie particolare va all’Opificio delle Pietre Dure, il cui prezioso lavoro ha reso possibile il recupero dell’opera”.
Con queste parole il Presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi, ha annunciato – nel corso di una conferenza stampa che si è svolta stamani a Roma – l’esposizione del capolavoro di Raffaello, La Madonna del cardellino, a Palazzo Medici, dal 23 novembre al 1° marzo 2009. Infatti, l’opera, prima di rientrare definitivamente nella Sala 26 della Galleria degli Uffizi, sua collocazione permanente, sarà oggetto di una importante mostra dal titolo: “L’amore, l’arte e la grazia - Raffaello: la Madonna del cardellino restaurata”, curata da Antonio Natali e Marco Ciatti.
L’intero progetto è il frutto della collaborazione fra la Provincia di Firenze, la Soprintendenza al Polo Museale fiorentino, l’Opificio delle Pietre Dure e la Galleria degli Uffizi. La rassegna è l’occasione, unica e speciale, per compiere un percorso di conoscenza approfondito e circostanziato dell’opera: dalla nascita del capolavoro al grave incidente del 1547, fino al restauro odierno. Saranno presentati, infatti, tutti i risultati delle indagini e le spettacolari immagini della tavola in varie lunghezze d’onda al fine di consentire al pubblico un ampio accesso alle ricerche, alle indagini e agli interventi compiuti sul dipinto.
Strumenti multimediali e video ad alta definizione permetteranno una visione dettagliata e ravvicinata normalmente difficile per il pubblico. Per la parte storica e artistica, accanto al capolavoro dell’urbinate sono presentate quattro eloquenti e significative opere coeve: la Gravida, ascritta a Raffaello fra il 1504 ed il 1508; la Monaca, di scuola fiorentina, significativa testimonianza dell’ascendente esercitato dal giovane Raffaello sui suoi colleghi e la Madonna, il Bambino e San Giovannino, di Girolamo della Robbia (1510- 15151), preziosa terracotta invetriata la cui composizione ripropone fedelmente la Bella Giardiniera di Raffaello al Louvre; di particolare interesse la “coperta” di ritratto, una sottile tavola, un tempo attribuita da alcuni studiosi a Raffaello per la Monaca.
“Le poche ma emblematiche opere sono state scelte non solo per dare nozione del contesto storico in cui nacque la Madonna del Cardellino ma anche per non rischiare di offrirla alla stregua di un oggetto di devozione”, precisa in merito alla mostra Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi.
La Madonna del cardellino- la storia
Secondo quanto narra Giorgio Vasari nelle sue Vite (1568), Raffaello dipinse la Madonna del cardellino su commissione di Lorenzo Nasi, ricco mercante col quale egli aveva stretto “amicizia grandissima” nel corso della sua permanenza a Firenze, durata dal 1504 al 1508.
L’occasione erano state le nozze, avvenute probabilmente nel 1505 (comunque prima del 23 febbraio 1506), dell’uomo d’affari con Sandra di Matteo Canigiani: sorella di quel Domenico, per il quale l’Urbinate, ancora a detta di Vasari, avrebbe poi eseguito la Sacra Famiglia oggi a Monaco di Baviera. Sempre al biografo aretino dobbiamo la conoscenza delle travagliate vicende che, alcuni decenni più tardi, dovevano mettere a repentaglio l’esistenza del capolavoro del Sanzio, già oggetto, da parte di Vasari, di una descrizione straordinariamente ammirata: “Il […] quadro fu da Lorenzo Nasi tenuto con grandissima venerazione mentre che visse, così per memoria di Raffaello statogli amicissimo, come per la dignità et eccellenza dell’opera.
Ma capitò poi male quest’opera l’anno 1548 a dì 17 novembre [invero fine 1547], quando la casa di Lorenzo insieme con quelle ornatissime e belle degl’eredi di Marco del Nero, per uno smottamento del Monte di San Giorgio rovinarono insieme con altre case vicine. Nondimeno, ritrovati i pezzi d’essa fra i calcinacci della rovina, furono da Battista, figliuolo di esso Lorenzo, amorevolissimo dell’arte, fatti rimettere insieme in quel miglior modo che si potette”. Nessun documento ha però tramandato l’identità di chi assunse l’arduo incarico d’assemblare i frammenti superstiti della tavola schiantata, unendo i vari pezzi del supporto mediante tasselli di legno e lunghi chiodi metallici.
Pare tuttavia ammissibile la congettura che a restaurare la tavola possa essere stato Ridolfo del Ghirlandaio (1483-1561): il pittore fiorentino (figlio del più celebre Domenico), coetaneo e amico, cui Raffaello, ormai in procinto di partire per Roma, aveva demandato il compito di terminare una sua Madonna col Bambino lasciata incompiuta, e per lo più identificata con la Bella giardiniera del Louvre. Dopo il restauro, la Madonna del cardellino rimase probabilmente di proprietà dei Nasi fino all’estinzione, per discendenza maschile, della famiglia, avvenuta nel 1639 con la morte di Francesco di Lorenzo.
Di lì a poco venne acquistata dal cardinal Giovan Carlo de’ Medici (1611-1663) che la collocò nella sua dimora di via della Scala. Messa all’asta assieme al patrimonio di quest’ultimo, dal fratello – il granduca Ferdinando II (1628-1670) –, per far fronte ai consistenti debiti che il porporato non aveva onorato in vita, l’opera del Sanzio, valutata ben 600 scudi, fu allora probabilmente riscattata dal cardinal decano Carlo de’ Medici (1596-1664), zio di Giovan Carlo, col preciso intento di mantenere nelle collezioni di famiglia un ormai venerato caposaldo della civiltà pittorica fiorentina.
Pervenuta al granduca, approdò nel 1704 agli Uffizi, dove fu accolta fra i capolavori della Tribuna.
Il progetto di Restauro
Il delicato e difficile intervento di restauro sulla Madonna del Cardellino di Raffaello, compiuto dall’Opificio delle Pietre Dure, è stato supportato da una lunga fase iniziale di studio e da continue indagini scientifiche volte a chiarire quali fossero i materiali pittorici usati da Raffaello, quali da Ridolfo del Ghirlandaio, che verosimilmente ha restaurato l’opera gravemente danneggiata nel 1547, e le stratificazioni degli interventi successivi.
La consistente massa di questi materiali nel tempo si è alterata al punto da nascondere completamente la policromia raffaellesca. Sono stati impiegati tutti i possibili strumenti di conoscenza offerti dalle varie tecniche di indagine diagnostica: RX, TAC, Fluorescenzab UV, IR b/n, IR falso colore, Riflettografia IR, ecc, privilegiando quelli non invasivi con l’applicazione anche di tecniche innovative. L’analisi ai raggi X ha permesso di vedere le fratture tra i pezzi, e i numerosi lunghi chiodi inseriti in occasione del primo restauro cinquecentesco per ricomporre la tavola che era andata in pezzi, mentre la riflettografia a raggi infrarossi ha individuato un disegno preliminare in scala 1:1.
Le differenze rispetto all’opera ultimata nelle figure sono poche, molto più importanti sono quelle relative al paesaggio come il ponte a sinistra, che era del tutto inventato, e la torre insieme ad un edificio cilindrico sulla destra, che nell’opera si trasformano in uno spazio aperto. Altre piccole differenze riguardano la scollatura dell’abito della Madonna, che nel cartone era più morbida e non quadrata, e l’orecchio del San Giovanni Battista che risulta in posizione più alta rispetto a come verrà dipinto.
I risultati del progetto di conservazione sono duplici: da un lato hanno cercato di risanare gli elementi patologici, dall’altro hanno fatto si che gli straordinari valori espressivi del dipinto fossero correttamente fruibili. La lunga e delicata fase di pulitura ha consentito il recupero della policromia raffaellesca ancora protetta dalla verniciatura stesa dall’artista. Anche il supporto ligneo è stato oggetto di un intervento di risanamento volto al consolidamento delle fratture che nel tempo si erano riaperte e al parziale miglioramento dell’andamento della superficie, segnata da una serie di deformazioni.
La stuccatura delle lacune, il trattamento della superficie e la reintegrazione pittorica, hanno permesso di coniugare il miglioramento strutturale a quello di una corretta fruizione dei valori espressivi del dipinto.