Firenze– La doppia idea di curare le infezioni batteriche senza antibiotici e di sperimentare questa ipotesi rivoluzionaria su batteri patogeni delle piante è dei biotecnologi della Facoltà di Agraria dell’Università di Firenze. Obiettivo: spezzare la spirale perversa che vede mutazioni batteriche sempre più resistenti opporsi a generazioni sempre più potenti di antibiotici. Si tratta di uno dei progetti finanziati dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e degli studi ormai in fase avanzata dà notizia oggi Stefania Tegli, responsabile dell’equipe del Laboratorio di Patologia Vegetale Molecolare, alla vigilia della Giornata della Ricerca in programma il prossimo 11 giugno.
“Abbiamo cambiando radicalmente strategia”, spiega la professoressa Tegli, “Ovvero abbiamo sostituito agli antibiotici convenzionali molecole particolari capaci di insinuarsi nei gangli vitali dei batteri per annullarne la capacità di scatenare le malattie. Stiamo cioè provando a vincere la guerra col cavallo di Troia invece che con i bombardamenti a tappeto”. Quanto all’idea di lavorare sui batteri dei vegetali nasce dal fatto che i meccanismi di base con cui queste infezioni si determinano nell’uomo, negli animali e nelle piante sono in buona parte identici.
Il vantaggio è che non si rischiano le polemiche che ormai accompagnano la sperimentazione sull’uomo. La cavia prescelta si chiama Pseudomonas savastanoi, agente della Rogna dell’olivo, malattia assai diffusa in tutto il mondo. Il progetto coinvolge i ricercatori di PeptLab e Genexpress e si avvale di alcune collaborazioni internazionali. La battaglia contro i batteri sembrava in realtà stravinta. Penicillina, sulfamidici e i miracolosi antibiotici in generale (hanno salvato milioni di vite fin dall’ultima guerra mondiale) lasciavano supporre la sconfitta totale di polmoniti e ulcere gastriche, di pertossi e tubercolosi, ovvero dell’universo di patologie infettive da sempre incubo del genere umano.
Errore. Come ogni essere vivente, anche i batteri sanno adattarsi ai mutamenti dell’ambiente. Ceppi più coriacei sono quindi scampati agli antibiotici, generando individui farmaco - resistenti. La scienza (l’industria della salute) ha risposto producendo antibiotici più potenti, salvo vederseli annullare da ulteriori mutazioni spontanee. Si è insomma progressivamente alzato il livello dello scontro e a tutt’oggi non se ne vede la fine. Lo scenario è peraltro aggravato da usi eccessivi e abusi.
Un sistema immunitario compromesso comporta drammatiche conseguenze per molte persone. L’impiego diffuso degli antibiotici nell’allevamento del bestiame da carne li ha per di più introdotti nella catena alimentare. Quanto alla bioingegneria ha prodotto macro e micro organismi modificati geneticamente per resistere agli antibiotici: geni che ora possono trasmettersi ad altri batteri. In altri termini, la battaglia è tutt’altro che vinta e uno dei risultati è che in vaste aree della Terra la tubercolosi è tornata da qualche anno a far paura.
Il progetto della Facoltà di Agraria fiorentina nasce appunto da questa impasse. Se i batteri si rafforzano mutando, anziché sterminarli meglio provare a renderli inoffensivi manomettendo il dispositivo patogeno. “Ogni batterio”, spiega la dottoressa Tegli, “possiede uno o più sistemi di secrezione che gli permettono di iniettare nelle cellule le molecole all’origine della malattia. Tra le proteine che compongono questi sistemi di secrezione si tratta, in sostanza, di individuare dei potenziali bersagli e di creare opportune molecole antagoniste che ne impediscano il funzionamento, senza risvegliare in questi batteri nessuno dei loro naturali istinti vendicativi”.
Lavorando su Pseudomonas savastanoi, la ricerca ha fin qui individuato 12 potenziali proteine bersaglio di molecole anti-infettive. Per ciascuna proteina occorre adesso trovare e testare almeno una molecola capace di disarmare il batterio lasciando intatta la vitalità. E’ un’operazione complessa e soprattutto assai lunga. Se dovesse funzionare l’umanità ne sarà clamorosamente debitrice alla Rogna dell’olivo. E a Firenze.