Firenze, 15 maggio 2008 – Agli italiani la sola idea di un’azione legale risarcitoria fa paura. Per i tempi, per i costi, per i vizi di forma. Se il danno non è rilevante si preferisce talvolta imputare al fato la perdita, archiviandola. La class action, che adesso arriva in Italia, mutuata dal diritto anglosassone, sembra avere tutte le premesse giuste per farsi accettare anche dai più renitenti alla tutela legale. Intanto, si entra a far parte di un gruppo nutrito (class) di soggetti che hanno subìto un danno da un fornitore di beni o di servizi.
Magro conforto, ma psicologicamente giova. In secondo luogo, la spinta iniziale all’azione risarcitoria non spetta più al singolo. La legge li definisce “associazioni e comitati che sono adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere”: sono loro che, intravista la strada dell’azione risarcitoria, la promuovono. Il singolo deve solo aderire. I costi, poi, si spalmano sul grande numero. Ma non è solo questo. Anche il più pavido degli utenti può aderire quasi all’ultimo: “l’adesione può essere comunicata, anche nel giudizio di appello, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni”.
Non è proprio come in America dove la soluzione dell’azione legale ha effetti anche ultra partes, ovvero per tutti i componenti presenti e futuri della classe medesima; ma è già molto per chi è sì pavido, ma non sciocco. Che poi la legge sia stata approvata quasi per caso (l’errore di voto di un senatore, che, sbagliando, ha dato il quorum al Senato) ne fa un regalo tutto italiano alla classe degli agnelli che proveranno a spellare qualche lupo.