Giorgio La Pira, nato e cresciuto in Sicilia, ha certamente assorbito la cultura mediterranea, specialmente nel senso dell'apertura al dialogo e alla "contaminazione". Inoltre la sua meditazione sul messaggio evangelico ha dato una motivazione in più all'armonia tra i popoli e le religioni, in particolare quelle abramitiche: Ebraismo, Cristianesimo, Islam. Un argomento in lui sempre presente, in modo esplicito o sottinteso, è l'idea di una triplice famiglia di Abramo come necessario fulcro della pace nel mondo ed esempio per tutti, se in concordia tra loro.
Giorgio La Pira, ispirato dai racconti evangelici dove Gesù solcando il lago di Tiberiade apre la strada per l'abbattimento di ogni barriera etnica, pensò che anche il Mediterraneo potesse divenire lo strumento per il superamento delle divisioni tra i popoli e lo ribattezzò "grande lago di Tiberiade".
Oggi dall'archivio della Fondazione La Pira di Firenze, una vera e propria "miniera d'oro", escono 71 lettere e 25 altri documenti tra discorsi, interventi e articoli del grande statista e religioso, quasi tutti inediti, che testimoniano la sua azione per la pace in Terra Santa e in Medioriente.
Sono stati raccolti da Marco Pietro Giovannoni per l'attivissima collana «I libri della Badia» sotto il titolo Il grande lago di Tiberiade. Lettere di Giorgio La Pira per la pace nel Mediterraneo. 1954-1977 (Polistampa, pp. 348, euro 16).
Tra le tante perle una lettera al presidente egiziano Nasser del 22 febbraio 1958, in cui più esplicitamente La Pira parla della propria visione teologica e politica e del proprio personale punto di vista sul ruolo dei tre Monoteismi, in particolare dell'Islam [ne allego integralmente il testo].
Il primo approccio di La Pira con Nasser risale alla crisi di Suez, quando prende prontamente le distanze dai governi inglese e francese e, appoggiato anche da Amintore Fanfani, lancia un segnale di solidarietà al presidente egiziano, con coraggio e obiettivi di pace. Interesseranno moltissimo gli storici anche le due lettere a Papa Giovanni XXIII del 4 e 29 gennaio 1960, entrambe inedite, dove La Pira dà la sua valutazione sulle vicende interne alla Democrazia Cristiana, accusandola di non aver seguito la politica estera di Fanfani, da lui condivisa.
Il pensiero lapiriano sul dialogo interreligioso emerge ancora di più nelle numerose lettere al ministro degli Esteri israeliano Abba Eban, cui lo lega una forte affinità spirituale. Ma colpiscono soprattutto, per l'audacia e la lungimiranza, le missive del Professore ad Arafat, anche queste inedite, che documentano come egli sia stato uno tra i primi a non identificarlo come un terrorista, ma come leader di un movimento politico e necessario interlocutore di un progetto di pace: "Ecco la soluzione chiara, semplice - gli scrive il 19 novembre 1970 - bisogna invitare il popolo palestinese al negoziato, attraverso il suo rappresentante qualificato: Arafat.
Certo: bisogna partire dal fatto della esistenza storica e politica dei tre lati del triangolo (da mihi factum, dicevano i giuristi romani): e su questo fatto costruire saldamente l'edificio della nuova storia, della nuova politica, della nuova missione di Israele e di Ismaele insieme avviati verso la comune politica mediterranea (liberata dalla "ipoteca dei grandi") che avrà vaste e profonde ripercussioni nella edificazione dell'Europa e del mondo!"
A parte l'enorme valore storico, i 96 documenti appena resi pubblici contengono messaggi validi ancora oggi, non tanto sul piano ideale, quanto come "metodo concreto della politica della pace".
E la pace, d'altra parte, costituisce essa stessa per La Pira una politica e una strategia possibile, anzi l'unica politica possibile e realmente efficace, perfino nell'area mediorientale ancor oggi così tragicamente sconvolta dalla guerra.
Antonio Pagliai