Nel buio un carro da processione attraversa doloroso il palcoscenico, e il Lacrimosa del Requiem risuona, possiamo immaginare, per qualche assolata strada siciliana. Exit, per lasciare il campo a una Vitti na crozza modulata su scale arabe, a un teatrino aperto su una scena di scirocco palermitano, adatto a un cunto da osteria. L’opera e l’opra si vanno a intersecare, vanno a cercarsi una sintesi meticcia. Mastru Ramunnu entra in scena a cuntare la morte del gigante Gattamugliere; ma da Napoli è arrivato col vapore l’emigrante Leporello, e tante ne ha da raccontare sulle avventure col padrone in quel di Spagna.
Sicché a domani sono rimandate le gesta degli antichi paladini, e stasera si rievocano le imprese del più grande dei seduttori. Così, nel gioco di specchi tra il pubblico in sala e quello dei pupi (con gli avventori a corredare di sapidi commenti le gesta dell’amatore sfortunato), il dramma giocoso di Da Ponte e Mozart si veste di inediti colori. L’ascesa al cielo del Commendatore è data da una pittura stile ex voto e il suo ultimo ingresso è marcato da un rotear di diavoli. Sull’aria del catalogo le gesta di Orlando e quelle di Don Juan si sovrappongono.
Nel Là ci darem la mano le coppie si moltiplicano, mentre Masetto cerca invano la mugliera. Finché il Tenorio se ne scende all’inferno gridando “viva la libertà”, e il servitore che non vuole più servir balla sulle note del “farfallone amoroso” dalle Nozze di Figaro. Un esperimento sulla tenitura strutturale del mito, dove lo scetticismo popolare tiene a bada le vertigini della carne, e l’incantesimo del novellare tiene banco incontrastato.
Lo spettacolo ideato dallo stesso Cuticchio, ultimo erede della notissima famiglia di pupari, è ispirato all’opera ominima di Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte.
I pupi di Mimmo Cuticchio, immagini straordinarie di un teatro di verità e di poesia, di lunga tradizione e di altrettanta capacità di rinnovarsi, si muovono questa volta per animare, nell’anno mozartiano, il racconto della vita e delle avventure del seducente personaggio di Don Giovanni.
Sul palcoscenico c’è un teatrino dei pupi, di fronte al quale siede un pubblico, un gruppo di palermitani rappresentati dai pupi da farsa, che attende che si alzi il sipario per seguire una nuova puntata della Storia dei Paladini di Francia.
Si crea così una complessa struttura narrativa e drammatica: il pubblico in platea si vede di fronte, inquadrato nell'esiguo spazio della scena del teatrino, un altro pubblico, costituito dai pupi. Tra i due pubblici si trovano i due narratori (Leporello e Cuticchio), ma al tempo stesso si svolge la vicenda di Don Giovanni, anch'essa interpretata da pupi, ma prevalentemente da "pupi in arme", mentre il pubblico è composto da "pupi in paggio", cioè da popolani. Ma lo sfondo che rappresenta una piazza palermitana alle spalle dei pupi spettatori si trasformerà, sotto la suggestione del racconto, via via in un cimitero e nell'inferno, mentre demoni alati si aggirano accanto a Nofriu e Virticchio.
Il livello popolare e quello tragico, entrambi caratteristici dell'opra, si incontrano allora, così come avviene nel "dramma giocoso" di Mozart e Da Ponte.
Ora che tanto l'opera che l'opra sembrano solo residui di un'epoca passata, Mimmo Cuticchio malinconicamente li avvicina.
In poco più di un'ora Cuticchio condensa tutta la storia di Don Giovanni, seguendo attentamente il libretto ma necessariamente privilegiando alcuni momenti e personaggi. Così Don Ottavio e Donna Anna attraversano velocemente il palcoscenico e, tra i personaggi femminili, solo alla passionale Elvira, "pazza d'amore", il cuntista presta la propria voce.
Cuticchio apporta alla vicenda alcune piccole aggiunte, sempre psicologicamente giustificate.
Cuticchio sceglie di non limitarsi a dare un'illustrazione visiva della musica, ma stravolge le attese degli spettatori proponendo invece ciò che, nel linguaggio dell'opra, ha funzione simile a quella che il singolo pezzo svolge nel melodramma: così durante l'aria del catalogo assistiamo al tipico combattimento di pupi, in cui il paladino affronta e sconfigge infiniti avversari, tutti diversi e tutti uguali, che si ammucchiano al suolo come le donne si succedono nel catalogo delle conquiste di Don Giovanni.
Ma nel novero dei momenti più riusciti va inserito anche il duetto di Zerlina e Don Giovanni, con i due personaggi che danzano leggeri, turbinando sempre più velocemente, come travolti dal trasporto amoroso, mentre nell'introduzione il cunto del duello di Rinaldo e Gattamugliere, con il suo spiccato ritmo giambico, è un esempio della tradizione dell'Opera dei Pupi. Se all'inizio di Don Giovanni all'Opera dei Pupi il carro funebre che traversava la scena sulle note del Lacrimosa del Requiem di Mozart, sua ultima composizione, ne evocava il funerale, la conclusione sulle note di Non più andrai dalle Nozze di Figaro ricordava che, se Don Giovanni muore, Cherubino è pronto a prenderne il posto, per continuare a superare i limiti umani.
E in ogni caso, Figaro e Leporello, Nofriu e Virticchio saranno sempre là, per commentare ironicamente.