Firenze, 21 febbraio 2006- Nelle unità di cura intensiva, la presenza dei familiari fa bene al cuore dei pazienti. E’ dimostrato scientificamente da uno studio condotto a Firenze presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi e pubblicato oggi sulla prestigiosa rivista cardiologica statunitense Circulation.
Nelle unità di cura intensiva il periodo di visita ai pazienti da parte dei familiari è tradizionalmente limitato a 30 minuti due volte al giorno.
Le principali ragioni di tale limitazione sono rappresentate dal timore di un aumento del rischio di infezioni e di stress per i ricoverati, e dal possibile intralcio ai programmi di cura per l’affollamento di un ambiente già denso di personale e di apparecchiature.
Lo studio fiorentino, diretto da Niccolò Marchionni, è il primo che analizza con metodologia scientifica rigorosa, secondo il disegno del trial clinico controllato, gli effettivi rischi e offre una risposta che viene incontro alle esigenze di ricoverati e familiari.
La ricerca, condotta dall’équipe della Unità di Cura Intensiva Geriatrica, diretta da Giulio Masotti, del Dipartimento del Cuore e dei Vasi dell’Azienda di Careggi, ha avuto una durata di due anni ed ha coinvolto quasi 400 pazienti. In questo lasso di tempo sono stati alternati periodi di due mesi con due regimi di visita diversi: un regime “standard” (visite da parte di un solo familiare per 30 minuti due volte al giorno), ed un regime “allargato” (visite da parte di un familiare con durata illimitata, scelta di volta in volta dal paziente stesso).
“Anche se l’ambiente – spiega Niccolò Marchionni, ordinario di geriatria alla Facoltà di Medicina dell’Università di Firenze - è risultato effettivamente un poco più contaminato da batteri nel periodo di visita allargata, le complicazioni infettive, comunque rare, sono state simili nei due periodi”.
“Al contrario – aggiunge Marchionni - nel periodo con maggiore presenza dei familiari, i pazienti hanno manifestato minore ansia (misurata in modo obiettivo con una specifica scala) ed un minore aumento degli ormoni circolanti che vengono prodotti dall’organismo in risposta a stress acuti.
Ma il risultato più sorprendente e di maggiore impatto clinico è stato rappresentato da una riduzione di oltre due volte, altamente significativa, del rischio di tutte le maggiori complicazioni cardiovascolari nel periodo di visita allargata. Anche la mortalità è stata più bassa nel periodo di visita allargato rispetto a quello standard, ma questa differenza non ha raggiunto la significatività statistica”. Questi favorevoli risultati possono essere spiegati dal fatto che la minore attivazione del sistema nervoso associata alla maggiore presenza dei familiari sembra garantire un profilo cardiocircolatorio più favorevole, attraverso una riduzione dello stress e della conseguente liberazione di agenti ormonali potenzialmente nocivi.
“Lo studio – conclude Marchionni - sottolinea quanto i modelli assistenziali ottimali debbano essere fondati non solo sulla applicazione delle più moderne tecnologie medico-chirurgiche, ma anche sulla attenzione costante alla serena partecipazione del paziente, e dei suoi familiari, al programma di cura, un elemento di particolare importanza nei più anziani, maggiormente esposti agli effetti negativi dell’isolamento e della perdita di contatti umani potenzialmente connessa con la ospedalizzazione”.
“Le conclusioni presentate in questa ricerca – sottolinea il preside della facoltà di Medicina Gianfranco Gensini – sembrano confermare nel versante della pratica clinica l’importanza delle esigenze espresse con la Carta di Firenze, per l’alleanza diagnostico terapeutica tra il medico e il paziente”.
Anche Edoardo Majno, direttore sanitario dell'Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi ha appreso i risultati dello studio con grande interesse: “Sono intenzionato ad avviare un confronto professionale interno all'Azienda coinvolgendo le numerose terapie intensive e rianimazioni presenti.
Sarà infatti importante cercare di portare nella vita pratica dell'Ospedale questa conferma scientifica che, in altri Paesi, in particolare nel mondo anglosassone, ha già iniziato a farsi strada con grande sollievo per i pazienti e loro famiglie”.