Il concerto che il chitarrista Steve Hackett ha tenuto ieri sera al Saschall è uno di quegli spettacoli che non si dimentica. Perché non è mai facile emozionare il pubblico con solo una chitarra classica, un flauto e un pianoforte, senza effetti speciali, senza amplificazione, ma con solo grande anima e trasporto. Perché in fondo un artista a tuttotondo come Hackett non ha bisogno di stupire (né in realtà lo ha mai avuto): basta solo che imbracci la sua sei corde e che accenni le prime note di "Horizons".
Ecco. Ieri Steve ha fatto esattamente così, è arrivato sul palco da solo, sotto una luce bianca, si è messo a sedere sul suo sgabello, ha preso una delle sue chitarre dal sostegno...et voilà: la magia è cominciata. Per i primi quaranta minuti dello spettacolo Hackett ha sostenuto la scena da solo, eseguendo brani di levatura classica, che non sempre hanno ottenuto la giusta attenzione del pubblico, soprattutto per l'eccessiva difficoltà di alcuni passaggi e melodie. Chi si aspettava solo brani dei Genesis è rimasto inizialmente un po' deluso, ma era lecito aspettarsi che Steve avrebbe iniziato dando più spazio a composizioni classiche, di ampio respiro.
Alla fine del primo set dello spettacolo, un Hackett molto rilassato ha parlato in un italiano stentato ma comprensibilissimo, dicendo che dopo un intervallo di venti minuti sarebbe tornato in scena insieme ai due suoi compagni di viaggio di questo tour, dopodiché è sparito dietro le quinte. Il tempo di bere una birra insieme agli amici del DSB Trio (band emergente fiorentina di rock progressivo, della quale si è già parlato su Nove), e le luci nel Saschall si sono riabbassate, per l'ingresso di John Hackett (fratello di Steve) al flauto e di Roger King, al piano e alle tastiere.
La musica ha sterzato decisamente verso un prog acustico di grandissima classe. Lo si è capito subito perché in apertura è stata eseguita "Jacuzzi", un classico della carriera di Steve. Il pubblico ha mostrato di gradire molto di più questa seconda parte di spettacolo rispetto alla prima, vuoi per la maggiore facilità delle melodie, vuoi per il maggior "tiro" dei brani. La summa emozionale è stata raggiunta quando il trio si è esibito prima in un richiamo dell'immortale riff di "Firth of Fifth" e poi nelle versioni complete (ma riarrangiate superbamente in chiave acustica) di "After the Ordeal" e soprattutto di "Hairless Heart", che, a giudizio del sottoscritto, rappresenta il brano più bello che il nostro abbia donato ai Genesis.
Si è proseguito poi con tre brani tratti dal cd dedicato da John e Steve al compositore francese Eric Satie, presentati in modo alquanto gigionesco da John, in vena di sperimentazioni di italiano. E' venuto poi il momento della dolcissima e immancabile "Kim", dedicata alla compagna di Hackett. E' stato dato anche il giusto spazio anche ai comprimari del chitarrista, con due composizioni solistiche: una per John Hackett e una per Roger King, durante le quali Steve è rimasto in ombra sulla scena. Infine ha chiuso degnamente il set la celeberrima "Ace of Wands", dal primo album solista di Hackett ("Voyage of Acolyte"), che richiama in modo impressionante le melodie genesisiane.
I tre si sono congedati ma il pubblico li ha richiamati in scena dopo pochi istanti, per eseguire altri due pezzi,a conclusione di una serata davvero speciale. In definitiva Steve Hackett ieri sera ha dimostrato al pubblico fiorentino una volta di più che il suo cammino artistico è ormai un soggetto a se stante, staccato e lontano anni luce dalle reminescenze dei Genesis, anche se gli spunti ispirati a quel periodo non gli mancano. Steve Hackett è da molto tempo un artista maturo e completo, capace di spaziare con facilità dalla musica classica al rock progressivo, senza scontentare nessuno,e soprattutto senza dover compiacere nessuno.
Pochi altri artisti del suo calibro dimostrano a mio avviso un tale coraggio nell'avventurarsi e nell'ostentare una tale onestà compositiva e artistica. Marco Lastri