Le donne, rispetto agli uomini, rimangono per più tempo nei lavori flessibili o precari, e quando ne escono spesso non è perché trovano un’occupazione fissa, ma perché escono proprio dal mercato del lavoro. L’Irpet ha intervistato un campione di persone occupate in lavori a termine nel 2000 e poi, a distanza di 4 anni, nel 2004, per capire quali sono gli esiti più probabili dopo la flessibilità. In Toscana, il 40% delle donne intervistate, dopo 4 anni, è inoccupato, contro il 27% degli uomini; le donne che hanno trovato un impiego a tempo indeterminato full time sono il 23%, contro il 39% degli uomini.
E’ uno dei dati più significativi diffusi in occasione del convegno “La sfida della buona flessibilità per le donne in Toscana: per non rimanere intrappolate nel precariato”, organizzato dalla commissione regionale Pari opportunità, con la presenza di esperte e ricercatrici dell’Irpet e dell’Università di Firenze. Secondo uno studio condotto da Alessandra Pescarolo (Irpet), non è vero che i lavori flessibili si adattano bene alla maternità, anzi: in Toscana, le donne con figli tra le lavoratrici “flessibili”, in primo luogo co.co.co., sono ben poche; molto più diffusa tra le mamme, per chi se lo può permettere, la scelta del lavoro dipendente a tempo parziale, specialmente nel settore pubblico.
E’ soprattutto nelle zone più deboli dal punto di vista occupazionale che le donne, non sempre per scelta, rimangono fuori dal mercato del lavoro. Mettendo a confronto, per esempio, la situazione di Firenze con quella di Rosignano Marittimo, emerge che nel primo caso le donne senza figli inoccupate – sempre a distanza di 4 anni dalla situazione di flessibilità - sono addirittura meno degli uomini (il 19,5% contro il 23,6%), mentre in presenza di figli la percentuale sale al 42,3%. A Rosignano, dove gli uomini inoccupati sono il 37,7%, le donne senza figli inoccupate sono il 48%, quelle con figli il 55,8%.
Altri dati sono stati forniti da Gianna Claudia Giannelli (Università di Firenze), che ha curato il rapporto 2004 della Regione Toscana sull’occupazione femminile. Nella nostra regione dal 1997 al 2003 l’occupazione femminile è cresciuta sensibilmente, passando dal 43,3 al 51,5%, ma il divario tra uomini e donne rimane significativo. Dal 2000 al 2003 il tasso di disoccupazione è sceso dal 6,1 al 4,7%; per gli uomini siamo passati dal 4 al 2,8%, per le donne dal 9 al 7,3%. Dal punto di vista delle diverse posizioni professionali, c’è da registrare un dato preoccupante, che, secondo la ricercatrice, fa pensare a vere e proprie forme di discriminazione: tra i laureati, solo il 19,4% delle donne occupa una posizione professionale di alto livello, contro il 48% degli uomini (il dato si riferisce al lavoro dipendente in Toscana nel 2003).
Guardando più in generale all’Italia, il divario tra occupazione maschile e femminile è uno dei peggiori d’Europa, mentre il divario salariale è più contenuto rispetto alla media. Qualche numero: la differenza fra il tasso di occupazione maschile e femminile è del 27%, la differenza fra disoccupazione maschile e femminile è del 5,6%; solo Spagna e Grecia, nell’Europa a 15, fanno registrare dati peggiori. Il divario fra le retribuzioni, invece, è dell’8,6%, mentre in Paesi generalmente avanzati come la Gran Bretagna ci sono differenze molto più sensibili (24%).
“La sfida che abbiamo davanti – ha commentato Mara Baronti, presidente della commissione Pari Opportunità, che ha organizzato il convegno – è quella di far sì che la Toscana si distingua in futuro per la capacità di conciliare al meglio tempi di vita e tempi di lavoro. L’innovazione non si misura soltanto sul fronte delle infrastrutture o delle tecnologie; la certificazione di qualità delle imprese dovrebbe tener conto anche del loro impegno per l’ampliamento e la qualificazione del lavoro femminile”.
Presenti al convegno anche il vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana, Leopoldo Provenzali, la presidente della commissione consiliare Attività culturali e turismo, Lucia Franchini, e la consigliera Bruna Giovannini. Secondo Provenzali, la flessibilità può rappresentare anche una grande opportunità, specie quando riesce a coniugare le esigenze delle imprese con le esigenze delle donne, e la nuova disciplina dei lavori atipici contenuta nella legge Biagi rappresenta un notevole passo in avanti in questa direzione.
Lucia Franchini ha sottolineato come ancora oggi siamo molto influenzati da un modello culturale tradizionale, mentre, per incidere significativamente sulla situazione, anche il lavoro domestico dovrebbe trovare adeguate forme di retribuzione. (ab)