(Firenze,11 febbraio)L’11 febbraio 1965 i cappellani militari della Toscana approvarono un’ordine del giorno in cui criticarono duramente l’obiezione di coscienza, definendo gli obiettori vili e estranei alla morale cattolica. Don Lorenzo Milani e i ragazzi di Barbiana risposero con una lettera in difesa della pace, dell’obiezione di coscienza e di un’idea nuova della patria: “Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro.
Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”, scrisse don Milani. La lettera, inviata a tutti i giornali, fu pubblicata solo da Rinascita, il settimanale del Pci. Ne scaturì un dibattito molto polemico, soprattutto a destra. Don Milani fu denunciato per apologia di reato. Non potendo partecipare direttamente al processo, perché già gravemente malato di tumore (morirà il 26 giugno 1967), il priore di Barbiana scrisse una lettera ai giudici del tribunale di Roma, dove si tenne il processo, il 15 febbraio del 1966.
“La guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una guerra giusta né per la Chiesa né per la Costituzione”, scrisse don Milani. Dunque, no alla guerra, anche preventiva: è questo l’insegnamento di don Milani. Sì, perché – spiegò il priore di Barbiana- le guerre contemporanee colpiscono soprattutto i civili: “A più riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che è in gioco la sopravvivenza della specie umana. E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie umana?” Don Milani fu assolto in primo grado e condannato in appello.
Le sue due lettere – ai cappellani militari e ai giudici – pubblicate in L’obbedienza non è più una virtù, divennero un testo cult della contestazione del ’68 e hanno fortemente influenzato il movimento per la pace. A quarant’anni dalla vicenda Mario Lancisi in No alla guerra ripropone le due lettere di don Milani, precedute da un’ampia ricostruzione storica e seguite da una sezione di interviste a protagonisti di quella vicenda, come gli allievi del priore, Francesco e Michele Gesualdi, Pietro Pinna, il primo obiettore di coscienza, Fabrizio Fabbrini, il primo obiettore cattolico, e mons.
Loris Capovilla, ex segretario di papa Giovanni XXIII, che ricostruisce i rapporti tra il Vaticano e il priore di Barbiana. Nel libro sono pubblicate anche interviste a intellettuali e esponenti del movimento della pace come Massimo Cacciari, Franco Cardini, Giancarlo Caselli, don Luigi Ciotti, padre Tonino Dell’Olio, Gad Lerner, Adriano Sofri e padre Alex Zanotelli in cui viene dibattuto il tema dell’influenza di don Milani sul movimento della pace e di come sia possibile costruire, anche alla luce dell’esperienza di don Milani, una convivenza tra gli uomini in cui la guerra diventi un tabù. Anche a distanza di quarant’anni la battaglia di don Milani si connota come una storia di grande attualità perché ripropone il tema della guerra, della non violenza, dell’obiezione di coscienza, del ruolo dei civili nei conflitti armati, del pericolo nucleare e della responsabilità civile di ogni cittadino.