Un uomo, uscito di casa per assistere a uno spettacolo di testimonianza civile, si ritrova invece in un teatro sconosciuto, davanti a una rappresentazione del tutto inattesa: una cantata dei pastori, fatta da quattro statuine del presepe che, costrette dalla loro natura all’immobilità, recitano eternamente la stessa parte. Proprio la perenne fissità rende i loro racconti straordinari, e spinge lo spettatore a porsi delle domande ineludibili: che cos’è, in quello stato, la vita, come fanno i pastori a provare emozioni, sentimenti, felicità, allegria? In realtà non possono; fermi nell’adorazione continua del bambino nel presepe, per loro quel momento meraviglioso diventa una sottile forma di condanna, di costrizione.
I pastori in realtà cantano proprio la loro immobilità, lo scoramento di chi scopre d’esser privato per sempre della possibilità di muoversi e dunque di guardarsi intorno, di parlare, di innamorarsi, di vivere. E lo cantano con forza e passione, perché il canto è l’unica forma che permette loro di offrire una sia pur larvata testimonianza di sé.
Ma ci sono anche altre modi di vivere, quello deglii uomini e delle donne in carne ed ossa, apparentemente felici perché capaci di muoversi liberamente; e per questo il narratore introduce le vicende di altri personaggi: un soldato in procinto di saltare su una mina, una donna col telefono in cerca dell’amore della sua vita...
Il gioco si complica ancor di più, perché proprio chi sembra in grado di vivere la pienezza dell’esistenza si muove sul crinale di una concitata e perenne inconcludenza, incapace di godere la bellezza di sentimenti, passioni e ragioni.
Una recita stralunata questa costruita dal sapiente narratore Riondino – autore del testo e narratore in scena –, a cui fanno da contrappunto le musiche d’impronta jazzistica del pianista Bollani, che ancora di più danno alla scena il sapore di un evento fantastico e sospeso, attraversato da una sottile malinconia.
La malinconia che caratterizza, in un destino comune, tanto le persone vive che quelle umili figure scolpite in gesti senza tempo.