firenze- I dati a disposizione disegnano più una situazione di difficoltà congiunturale che di vera e propria crisi, tanto più che la situazione è comunque fortemente differenziata in relazione ai vari mercati e alle tipologie di prodotto. Ma in ogni caso è chiaro che gli anni del “boom” e della grande euforia per i vini toscani sono ormai alle spalle. Per tenere e accrescere le proprie posizioni di mercato, di fronte ad una concorrenza internazionale sempre più agguerrita, saranno necessarie nuove strategie e nuovi impegni, a partire anche da un’attenta riflessione sui prezzi.
Su tutto questo ci si è confrontati questa mattina a Palazzo Bastogi, in occasione di un incontro con i produttori e gli esperti del settore convocato dall’assessore all’agricoltura Tito Barbini per fare il punto sullo stato di salute della nostra viticoltura. “I dati parlano chiaro, i segnali di difficoltà e di sofferenza ci sono ed è bene esserne pienamente consapevoli in modo da intervenire per tempo – spiega l’assessore - Certo sono da respingere le valutazioni più pessimistiche, anche perché abbiamo alle spalle almeno dieci anni di successi eclatanti, nel corso dei quali le nostre esportazioni sono addirittura quintuplicate.
E’ sempre difficile confermarsi a livelli così alti e se in uno scenario mondiale come quello attuale riusciamo sostanzialmente a reggere vuol dire che la strada che abbiamo imboccato, quella della tutela e della valorizzazione della qualità, dei legami con il territorio, è la strada giusta. C’è da chiedersi dove saremmo finiti se quella strada non l’avessimo imboccata. Le dinamiche più recenti, semmai, sembrano segnalarci che l’impegno sulla qualità non basta, che bisogna prendere in considerazione anche altri strumenti, a partire da un’attenta riflessione sui prezzi”.
I segnali dall’export
A questo proposito, spiega ancora l’assessore, sono eloquenti i dati più recenti sulle esportazioni dei vini toscani. Nel 2003 il nostro export ha totalizzato 446 milioni di euro, il 16,8 per cento del complesso delle esportazioni italiane. In una classifica delle regioni la Toscana si è piazzata al secondo posto, davanti al Piemonte (16,3 per cento) e dietro solo al Veneto (27,6 per cento).
Se poi si raffronta il periodo gennaio-giugno 2003 con il gennaio-giugno 2004 si scopre che le esportazioni sono passate da circa 224,6 milioni di euro a 230,4, con un aumento di circa il 2,6 per cento.
Un dato che segnala una crescita, non una situazione di crisi. Letta più in profondità, però, la situazione appare più variegata. Estremamente positivo, ad esempio, è l’andamento dei vini di qualità senza denominazioni di origine (si tratta in particolare di vini Igt). In percentuale l’incremento è notevolissimo – più 27,8 in valore, più 26,1 in quantità, punte di aumento in valore particolarmente importanti su mercati ricchi quali la Danimarca (più 159 per cento), gli Stati Uniti (più 100,8 per cento), il Giappone (86,1) – in termini assoluti, però, siamo di fronte a movimenti abbastanza contenuti: si parla di un segmento che nel 2003 ha contato per 3.709 tonnellate e 13 milioni di euro in esportazioni.
Ben più corposo è il mercato dei vini Doc e Docg: 75.430 tonnellate e 340 milioni di esportazioni, una presenza forte soprattutto negli Stati Uniti (146.168 tonnellate), in Germania (70.316 ), nel Regno Unito (25.101) e nella Svizzera (22.141).
Per questi vini nel primo semestre 2004 le quantità sono aumentate dell’1,3 per cento rispetto al primo semestre 2003, ma il valore è sensibilmente diminuito, nell’ordine del 5,4 per cento. “Dati – spiega Barbini – che evidenziano un punto di sofferenza proprio per i nostri vini più pregiati.
Dati, insomma, che più che una crisi complessiva del nostro export sembrano riferirsi alla difficoltà di un nostro segmento di mercato, peraltro per noi di assoluta importanza, e che ritengo debbano spingerci ad alcune approfondite riflessioni sui prezzi di mercato delle nostre produzioni, anche per quanto riguarda il mercato interno, con una particolare attenzione alla ristorazione”.
La concorrenza internazionale
Tutto questo assume particolare rilievo in una realtà economica complessivamente difficile e che come tale si ripercuote sensibilmente sulle scelte di consumo, con un consumatore molto più consapevole che in passato.
In un mercato apparentemente vicino alla saturazione, poi, è profondamente cambiata la distribuzione delle capacità produttive a livello mondiale. Nel corso degli anni Novanta le superfici vitate in Europa sono diminuite del 14 per cento, mentre, solo per fare alcuni esempi, sono aumentate del 138 per cento in Australia, del 25 per cento negli Stati Uniti, del 4 per cento in Sud America. Solo in Cina tra il 1995 e il 1999 sono stati destinati alla viticoltura oltre 100 mila nuovi ettari.
E’ una concorrenza sempre più agguerrita, che ha un suo ulteriore elemento di forza nella dimensione delle sue aziende, generalmente molto più ampia che in Europa: in Australia, ad esempio, il 66 per cento del prodotto finito è controllata da appena cinque aziende.
Una concorrenza che non raramente è in grado di sviluppare una politica dei prezzi molto aggressiva.
“In questo contesto – ricorda ancora Barbini – credo che si possa apprezzare quanto abbiamo fatto in passato, ad esempio quando ci siamo dotati di regole specifiche per il controllo del potenziale vinicolo che vanno ben oltre le regole comunitarie sui diritti di reimpianto. Se nei momenti di grande euforia del passato, quando tutto sembrava molto più facile, non ci fossimo dotati di quelle regole, quale sarebbe stato oggi il nostro bilancio? Non è un caso, sono convinto, che proprio le aziende più nuove nel settore sono quelle che si sono dimostrate più fragili di fronte ad un mercato meno generoso, più problematico rispetto agli anni precedenti”.
La strada del vino
Anche di fronte a questa concorrenza i vini toscani vantano ancora diversi punti di forza, sia per quanto riguarda il prodotto che la struttura produttiva: varietà, qualità, legami con i territori in grado di fornire specifiche identità, capacità di innovazione e know-how di avanguardia, capacità di promuoversi con intelligenza.
Con questo retroterra, è importante proseguire sulla strada già ampiamente percorsa di rafforzamento e valorizzazione della qualità, a partire dalla difesa rigorosa del sistema delle denominazioni, da un sistema sempre più attento ed efficiente di controlli, da maggiori investimenti sulle iniziative promozionali e sull’educazione a consumi di qualità.
Risultati importanti ed inattesi, che confermano la Toscana come regione di vini non solo di altissima qualità, ma addirittura di qualità ancora crescente.
E’ quanto emerge dalla Selezione dei vini di Toscana 2004 che si è conclusa in questi giorni, con un bilancio che è stato illustrato questa mattina a Palazzo Bastogi, in occasione dell’incontro promosso dall’assessore all’agricoltura Tito Barbini per esaminare lo “stato di salute” della viticoltura. “Se alcuni dati economici possono suonarci come un campanello di allarme, i risultati di questa manifestazione, importanti e per certi versi inattesi, devono farci guardare al futuro con grande fiducia – spiega l’assessore – Anche in questi anni non facili i produttori toscani hanno dimostrato voglia e capacità di crescere in qualità, di coniugare al meglio tradizione ed innovazione.
E questa è la migliore garanzia che possiamo offrire su mercati mondiali che peraltro già conoscono ed apprezzano il valore delle nostre produzioni. Questa Selezione, che ormai per numero di campioni presentati è il secondo concorso enologico nazionale dopo il Vinitaly di Verona aiuterà e promuoverà ancora di più i nostri vini di qualità”. I verdetti della selezione – che si è tenuta nella sede dell’Enoteca italiana di Siena – sono di per sé eloquenti. Oltre 400 aziende partecipanti, più di mille partecipanti, ma soprattutto il 78 per cento (più 4 per cento rispetto alla precedente edizione) di vini promossi.
La Selezione è stata coordinata da Toscana Promozione, con la collaborazione dell’Enoteca italiana, dell’Associazione enologi enotecnici italiani, delle amministrazioni provinciali, del consorzi di tutela, delle camere di commercio e dell’Ice.