L'elemento che spicca nella consultazione del prossimo 13 giugno, oltre la presenza di liste di sinistra alternativa all'attuale maggioranza (ma non è la prima volta che questo accade a Firenze) è senza dubbio l'alto livello culturale dei contendenti. Segnaliamo la lista dei professori (tra cui l'astronoma Margherita Hack), il candidato indipendente Franco Cardini, il candidato del Polo delle Libertà, l'architetto Valentino. Si tratta di un segnale preoccupante lanciato alla Giunta Domenici? L'accusa di una carenza per gli uomini che hanno governato, e si candidano a farlo ancora, una delle città patria della cultura occidentale?
Nella domanda si suggerisce una possibile interpretazione, che tuttavia non condivido.
A me pare che le liste di centro sinistra, sicuramente quella dei DS, abbiano sempre cercato di "offrire" all'elettorato una "miscela" equilibrata di candidati capace di rappresentare nel suo insieme la complessità della società fiorentina, che comprende evidentemente anche i cosiddetti "uomini - ma anche donne - di cultura". Penso ad esempio al mio collega Giorgio Bonsanti, con cui ho condiviso l'esperienza in Palazzo Vecchio dal 1999 al 2004 e che è stato ricandidato. Immagino che anche le altre liste che si contrappongono a Leonardo Domenici abbiano tentato di operare in tal senso.
E tuttavia il tema su cui riflettere a me pare un altro. Esprime la nostra città una classe dirigente - a tutti i livelli - all'altezza delle sfide che l'attendono all'alba del terzo millennio? A questo interrogativo non so cosa rispondere, ma confesso di avere qualche preoccupazione perché, uomini di cultura o meno, mi pare che si siano spenti molti dei luoghi in cui una classe dirigente degna di questo nome sia in grado di formarsi e perché non mi sembra che il panorama offra figure di grande spicco politico, che è cosa certo diversa dall'avere un grande bagaglio culturale.
Nelle settimane scorse lei ha dichiarato: "Chi vincera' le elezioni amministrative dovra' misurarsi con il problema strutturale della limitazione delle risorse".
La situazione del bilancio comunale è così grave? E come mai la Giunta non è riuscita a contrastarne la tendenza nonostante le vendite di patrimonio pubblico ai privati?
La situazione è certo critica, ma non per l'immediato quanto per le prospettive future. In questi cinque anni il Comune di Firenze ha sostenuto un volume di investimenti in opere pubbliche di oltre 2000 miliardi di vecchie lire, che sono stati alimentati in vario modo: accensione di mutui, contributi statali ed europei, finanza di progetto, Legge 10 (proventi dagli oneri di urbanizzazione), alienazioni immobiliari e mobiliari.
Questo sforzo, che è stato finalizzato a migliorare subito la città e i servizi (penso ai tanti asili nido e servizi all'infanzia aperti dal 1999) accompagnando lo sviluppo delle infrastrutture per la città che è già in corso, ha imposto sacrifici e difficoltà di varia natura, oltre ad un'accorta politica di bilancio. In particolare, con una serie di operazioni finanziarie (tra cui la vendita di alcuni pacchetti azionari di società partecipate e di diversi immobili comunali) si è potuto ricontrattare molti mutui con la Cassa depositi e prestiti, accesi nei decenni scorsi a tassi di interesse molto alti, convertendoli con mutui a tassi molti più vantaggiosi, con un evidente alleggerimento dell'onere sul servizio del debito che incide direttamente sul bilancio di parte corrente.
Tutto ciò, purtroppo, è avvenuto in una fase di cambiamento delle politiche economiche a livello statale.
Con l'avvento del Governo Berlusconi (primavera 2001) non solo non si è dato seguito al nuovo dettato costituzionale (Titolo V) che garantisce ai Comuni autonomia di prelievo e di spesa ("federalismo fiscale"), ma si sono ridotte progressivamente le risorse derivanti dai trasferimenti statali diretti. Infatti da un lato le ultime leggi finanziarie hanno introdotto nuovi e complessi vincoli sulla spesa corrente dei Comuni, cui in pratica viene impedito di spendere anche quando hanno le risorse; dall'altro si sono ridotte le risorse statali (a Firenze -6% in tre anni) pur in un quadro di norme che tende a delegare ai Comuni maggiori funzioni, e si è impedito di applicare strumenti già esistenti quale l'addizionale IRPEF (a Firenze rimasta allo 0,3%, mentre la legge consentirebbe di arrivare fino allo 0,5%, come già fatto negli anni scorsi da tutti i Comuni limitrofi a Firenze).
A ciò si aggiungano alcune spese che appaiono oggi incomprimibili, salvo affrontare nodi strutturali che chiamano in causa la politica e la sua capacità di scegliere tra opzioni diverse in una quadro di consenso: il costo del personale dipendente (oltre 5500 dipendenti comunali, di cui circa 2000 impegnato nel settore della pubblica istruzione), il costo della raccolta e spazzamento dei rifiuti (su cui pesa moltissimo quello dello smaltimento in discarica), quello di alcune funzioni che non appaiono più sostenibili, nè di fatto nè di diritto, dal Comune (penso all'ITI "Leonardo Da Vinci", uno dei cinque istituti medi superiori in Italia che impropriamente pesa tutto sul bilancio comunale, essendo tuttavia il 60% e oltre degli iscritti proveniente da altri Comuni).
La mia riflessione, citata nella domanda, è una constatazione con cui volevo richiamare al senso di responsabilità di tutte le forze politiche: governare è anche scegliere tra priorità diverse in un quadro di risorse economiche comunque limitato, che nel nostro caso tende a ridursi.
Se non vogliamo illudere i cittadini o vendere sogni dobbiamo avere presente il problema ed evitare di promettere cose che poi non saremmo in grado di mantenere.
La recente condanna del Sindaco Domenici per l'abbattimento degli alberi della Fortezza ha chiarito, se ce ne fosse ancora bisogno, il carico di responsabilità che grava sulle spalle del primo cittadino e di alcuni assessori. Contemporaneamente, anche in occasione della polemica sul parcheggio seminterrato della Fortezza, c'è stato chi ha parlato di un Consiglio comunale ormai defraudato dei suoi poteri decisionali.
Insomma: questa legge Bassanini che doveva riformare le autonomie locali ha proprio fallito?
Parto dalla legge 142 che ha riformato gli Enti locali, insieme alla riforma del sistema elettorale per i Comuni. A me non pare si possa dire che vi sia stato un fallimento: ci siamo dimenticati alla cronica instabilità degli esecutivi comunali quando il Sindaco era eletto dal Consiglio (ed era perciò sempre sottoposto al rischio di un cambio di maggioranza o di più banali fibrillazioni elettorali)? Oppure ai Consigli comunali in cui si votavano non solo gli atti fondamentali (bilancio, piano regolatore, ecc.), ma anche migliaia di deliberazioni di spesa, ora giustamente attribuite alla Giunta e ai Dirigenti comunali? La stabilità e l'efficienza dei goveri locali è una conquista che mi pare stia dando frutti positivi in tutte le città.
Naturalmente non nascondo che si è anche sviluppata una tendenza dei Sindaci a ricorrere al Consiglio quanto meno possibile, con effetti negativi sul dibattito democratico e sulla stessa capacità delle forze politiche di rappresentare l'opinione pubblica, la quale a sua volta tende ad organizzarsi autonomamente (come dimostra il fenomeno dei comitati). Come pure occorre sottolineare l'inadeguatezza di molti dibattiti consiliari rispetto alle nuove funzioni e al nuovo equlibrio, che richiederebbero maggiore approfondimento e minore ricerca di consenso spicciolo, di visibilità.
Per quanto concerne gli esempi citati, occorre ammettere che nella vicenda del taglio dei 4 alberi alla Fortezza il Sindaco ha avuto il coraggio di assumersi una responsabilità personale - politica, amministrativa e forse penale - pesante, rimediando ad un errore di progettazione certamente fatto da altri.
Sul caso del parcheggio, pur in un quadro di decisioni tutte formalmente legittime, sarebbe stato meglio - come avvenuto in altri casi - svolgere un dibattito politico in Consiglio comunale sull'intera operazione di finanza di progetto denominata "Firenze mobilità". Forse non avremmo evitato tutti i problemi emersi dopo, ma certo avremmo potuto alzare il livello del dibattito e forse contribuire con qualche idea a correggere alcuni elementi negativi dell'intera operazione, poi emersi in corso d'opera (penso al trasferimento di 60 bus dell'ATAF dal deposito di piazza Alberti -ora soppresso- al deposito di via Pratese).
Nei prossimi anni, secondo molti, assisteremo alla privatizzazione del settore del trasporto pubblico locale, o quanto meno ad un processo di massiccia riorganizzazione.
Che cosa succederà a Firenze?
Credo di poter escludere processi di privatizzazione, mentre è indubbio che la realizzazione delle tre linee di tramvia e l'arrivo di RATP (la società che gestisce tutto il trasporto pubblico a Parigi, e che realizzerà 2 linee di tramvia e gestirà l'intera rete) segneranno una profonda trasformazione, speriamo positiva. Anche ATAF dovrà cambiare, quanto meno per recuperare efficienza e maggiore capacità di offrire servizi per le rinnovate esigenze di mobilità dei cittadini.
E' previsto che ATAF entri nella società di gestione delle tramvie, la cui larga maggioranza sarà detenuta da RATP. Il prossimo Consiglio comunale dovrà certo discuterne, più di quanto lo abbia fatto quello ormai dimissionario.
In molte città del mondo un'ora è considerata una distanza di percorrenza accettabile per raggiungere l'aeroporto. Perché l'aeroporto di Pisa è considerato lontano, ma anche nell'ipotesi massimalista di potenziamento, Peretola non potrà mai raggiungere il potenziale del Galieleo Galilei? Allora Firenze non c'e l'aveva già l'aeroporto?
Le vicende aeroportuali toscane sono complesse e non da oggi.
Le difficoltà di collegamento tra lo scalo "Galileo Galilei" e Firenze (pur tenuto conto della distanza non elevata) e forse una politica non molto dinamica dello scalo pisano hanno indotto negli anni novanta il rilancio dell'aeroporto "Amerigo Vespucci", avviato dal prolungamento della pista di volo decisio nel 1992 dalla Giunta Morales. Esigenze obiettive di accesso all'area centrale della toscana insieme a tensioni di stampo provincialistico e campanilistico hanno prodotto un sistema aeropotuale duale, che al momento si regge sulla forte domanda di accesso a Firenze e sul sistema dei vettori "low cost" che serve Pisa.
Tuttavia il mercato è in evoluzione e non mi pare semplice prevederne gli sviluppi. Rimane la considerazione, che nel 1992 spinse il PDS a votare contro il potenziamento del "Vespucci", per la quale lo scalo attuale per la presenza di ostacoli e centri abitati a breve distanza è collocato in modo non soddisfacente, nè per le operazioni di volo, nè per i cittadini che abitano intorno. L'ingresso nella società di gestione (AdF spa) di un socio operativo privato (lo stesso che gestisce lo scalo di Torino-Caselle) apre nuove prospettive, tutte da vagliare, ferme restando le garanzie per la tutela ambientale richieste più volte in questi anni.
D'altra parte, la realizzazione del binari per il treno ad alta capacità libera spazio in superficie per i convogli locali: se la Regione (da cui dipende il trasporto ferroviario locale) saprà cogliere questa opportunità potremmo puntare ad un potenziamento dei collegamenti Pisa-Firenze tale da rilanciare anche le sorti del "Galilei". Tutto ciò sarà certo più chiaro nei prossimi cinque anni.