FIRENZE- L'intercambiabilità dei ruoli all'interno della coppia, della famiglia, del lavoro resta, in molti casi, ancora poco più di un sogno. Per questo, accanto alle frittelle di rito, la festa del papà è stata degnamente celebrata oggi, nell'Aula Magna del Rettorato dell'Università di Firenze, con un interessante convegno organizzato dalla Consigliera Regionale di parità sul tema, appunto, "Maternità e paternità nel lavoro". "E' un'occasione per fare il punto - ha spiegato la Consigliera di parità Marina Capponi nel presentare l'iniziativa - a tre anni dall'entrata in vigore della legge a tutela della maternità e della paternità, sulla effettiva applicazione di una disciplina che, almeno sulla carta, pone il nostro paese all'avanguardia nella promozione di una più equa redistribuzione di compiti e responsabilità fra uomini e donne, nei confronti di lavoro, figli e famiglia".
La principale novità della legge varata nel 2000 è, com'è noto, l'introduzione del congedo parentale anche per i babbi. In altre parole, quando nasce o viene adottato un bambino, possono assentarsi dal lavoro, con le stesse tutele offerte dalla legge alle madri, anche i padri.
Ma se l'obiettivo è quello del riequilibrio dei ruoli, dell'offrire anche alle donne una possibilità di scegliere serenamente fra lavoro, carriera e cura dei figli, la realtà è invece ancora lontana e, se possibile, peggiore di una normativa che, a detta di tutti gli esperti intervenuti al convegno, è decisamente innovativa e di buon livello qualitativo.
A testimoniare il lento affermarsi di una cultura e di una mentalità davvero propense alla parità, i primi dati, elaborati in occasione del convegno dalla direzione regionale toscana dell'Inps sui due anni di applicazione del testo unico. Nel 2002, a distanza di un anno dall'introduzione della legge, su un campione di 3.435 richieste di congedo parentale presentate, solo 36 si riferivano a lavoratori dipendenti maschi, appena poco di più dell'1%. Appena un po' meglio nel 2003. I dati rilevati in nove province toscane attestano, su un campione di 5639 richieste di congedo parentale, 285 domande presentate da lavoratori padri, circa il 5% del campione esaminato.
Le percentuali di padri che richiedono il congedo variano poi in maniera significativa da una provincia all'altra: si va da un 1,5% di Prato, seguito da un 2,6% di Arezzo a un 9,5% di Massa Carrara e al 10,6% di Siena. Firenze, Livorno e Lucca si attestano sulla media regionale, mentre Pistoia e Grosseto sono poco al di sopra con, rispettivamente, il 6,4% e il 7,9%.
Perché questa scarsa propensione ad abbandonare momentaneamente il lavoro per dedicarsi ai figli? Fra le possibili cause, i molti esperti intervenuti nel corso del convegno (fra gli altri Donata Gottardi, docente dell'Università di Verona e "madre" della legge, Franca Borgogelli, dell'Università di Siena, Riccardo Del Punta, Università di Firenze) hanno ipotizzato quelle di natura economica, culturale e la scarsa informazione.
Si tratta di problemi spesso legati alla più generale condizione del lavoro delle donne che, ancora sono un soggetto più debole, con retribuzione e mansioni spesso inferiori rispetto a quelle maschili e una maggiore precarietà. Fra i problemi evidenziati, anche l'applicazione di queste norme ai lavoratori autonomi e alle tipologie, sempre più diffuse, dei lavoratori e delle lavoratrici atipiche.
In attesa che la trasformazione culturale auspicata dalla legge, ma non ancora entrata nelle coscienze e nelle abitudini dei padri italiani, si attui davvero, ci sono molte cose da fare per aiutare donne e uomini a conciliare meglio i tempi di vita e i tempi di lavoro.
Se né è parlato alla tavola rotonda presieduta nel pomeriggio dall'assessore alla comunicazione Chiara Boni.
"Credo che quanto è emerso in un confronto che, per la prima volta forse, affronta in maniera così documentata e approfondita questo tema -- ha detto l'assessore nelle sue conclusioni - ci debba spingere intanto a una prima riflessione: c'è ancora molto da fare, non dobbiamo abbassare la guardia ma continuare a lavorare per allargare al massimo le opportunità di occupazione al femminile.
E questo vuol dire non solo ampliare e potenziare i servizi a supporto delle donne e della famiglia, ma anche agire sul piano culturale, sulla mentalità che ancora pone ostacoli nell'organizzazione del lavoro e nelle carriere dei pochi uomini che scelgono di ricorrere a leggi come questa. I dati toscani illustrati questa mattina ci dimostrano che è una sfida culturale ancora tutta da giocare. E va giocata anche sul piano della comunicazione perché non tutti coloro che ne hanno diritto sono a conoscenza dei meccanismi della legge, delle possibilità e delle tutele offerte".
L'assessore ha poi ricordato come, sul fronte istituzionale, non si parta da zero. "La Regione Toscana ha da sempre fra i suoi obiettivi quello di aumentare la partecipazione delle donne alla vita sociale ed economica e di rendere effettive le pari opportunità nell'accesso alle professioni e nella prosecuzione della carriera. La prima sfida in questo campo è stata quella di accrescere la presenza femminile nel mercato del lavoro. Dal 1998 ad oggi i ritmi di crescita dell'occupazione femminile sono stati più marcati di quella maschile: nel 1995 il tasso di disoccupazione era del 13%.
Il 2003 si è chiuso con un tasso di disoccupazione femminile del 7,3% (il dato nazionale è del 11,3%). Ma se il lavoro delle donne è indispensabile per lo sviluppo, perché le donne possano continuare a dare il loro contributo in termini di partecipazione al mercato del lavoro dobbiamo offrire loro strumenti nuovi per conciliare occupazione e cura della famiglia".
Una banca dati informatica ricca di notizie, interattiva e implementabile. E’ quella costruita dai ricercatori dell’Irpet, per conto della Commissione regionale pari opportunità, sugli studi di genere in Toscana.
Per presentare l’iniziativa si è tenuto oggi un convegno, dal titolo “Banca dati: Studi di genere negli atenei toscani. Istruzioni per l’uso del sito e potenzialità” , presso la Sala degli affreschi del Consiglio regionale della Toscana. I cosiddetti “gender studies”, gli studi di genere, sulle donne o più ampiamente legati alla convivenza tra donne e uomini, sono sempre più numerosi anche in Toscana. Pre questo la Commissione regionale per le pari opportunità della Toscana ha promosso un’indagine finalizzata a costruire un’anagrafe della didattica e della ricerca prodotte nelle università toscane in materia di studi di genere e di studi sulle donne, e l’organizzazione dei dati raccolti in una banca dati web di facile consultazione.
“L’obiettivo – ha spiegato la presidente della Commissione pari opportunità Mara Baronti – è quello di far conoscere il lavoro e l’energia di docenti e studenti che si sono misurati con questo argomento, e contribuire a creare un circolo virtuoso, in modo da far crescere l’impegno sugli studi di genere”. Alessandra Pescarolo, la dirigente dell’Irpet che ha curato la ricerca assieme alla ricercatrice Francesa Arena, ha illustrato contenuti e finalità della banca dati. La ricerca è riuscita a censire 490 tesi di laurea, 98 ricerche e 22 voci relative alla didattica: si tratta tuttavia di dati non esaustivi, aggiornabili on-line da chiunque altro si stia occupando della materia.
“Speriamo in questo modo – ha detto – di facilitare le relazioni e la nascita di un network fra gli studiosi che si occupano, ognuno nel suo settore, di donne”. Considerando gli ambiti disciplinari interessati dagli studi di genere, in testa risultano le facoltà letterarie, seguite dalle discipline politico sociali, giuridiche, mediche ed economiche. Una parte molto interessante della banca dati è rappresentata dal censimento delle tesi di laurea, da cui risulta che le studentesse sono un motore attivo degli studi sulle donne: richiedendo tesi sugli studi di genere, riscono a promuovere e quindi a diffondere i temi delle donne, stimolando anche docenti che non sono specializzati in questo tipo di studi.