La materia dei servizi pubblici locali è estremamente importante e delicata, perché riguarda attività quali la gestione di acquedotti, fognatura e depurazione, dei rifiuti, del gas, dei trasporti, etc., attività che da un lato rivestono notevole interesse pubblico (si pensi agli aspetti ambientali), dall’altro lato richiedono ingenti investimenti, e quindi premono alle imprese pubbliche e private.
La delicatezza ed importanza della materia avrebbe richiesto e richiederebbe una particolare attenzione da parte del legislatore, in modo da garantire sempre quella certezza del diritto che è condizione essenziale per tutelare gli interessi degli utenti, l’interesse pubblico alla corretta gestione del servizio, e l’interesse economico delle imprese pubbliche e private coinvolte.
E invece no.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un vero e proprio tira e molla tra il legislatore nazionale e la Commissione UE.
Il tutto certamente in danno dell’interesse pubblico e degli utenti.
Ripercorriamo le tappe di questo contorto “percorso normativo”, i cui più recenti episodi sono contenuti nell’ultima legge finanziaria.
La disciplina della gestione dei servizi pubblici locali era inizialmente dettata dagli artt. 22 e segg. della l. 8.6.1990 n.142, poi sostituiti dagli artt. 112 e segg. del D.Lgs. 18.8.2000 n.267.
In particolare, l’art.22 della l.n.142\1990 -e poi l’art.113 del D.Lgs.
n.267\2000- elencava le forme di gestione dei servizi pubblici locali all’epoca consentiti, che erano la gestione in economia da parte del singolo Comune, l’azienda speciale anche consortile, la società a partecipazione pubblica locale prevalente o minoritaria, e la concessione a terzi.
La forma di gestione più utilizzata dagli enti locali, ma anche la più controversa, era la società mista.
Dopo qualche dubbio iniziale, la giurisprudenza amministrativa chiarì:
· in primo luogo, che l’affidamento del servizio pubblico alla società a partecipazione pubblica locale non presupponeva l’espletamento di alcuna procedura ad evidenza pubblica, posto che il momento concorrenziale doveva ritenersi in tal caso spostato dalla fase dell’affidamento a quella della scelta del partner privato, tanto di maggioranza quanto di minoranza, in quest’ultimo caso anche senza il diretto conforto di specifiche norme;
· in secondo luogo, che la scelta di tale forma di gestione dei SPL presupponeva l’ingresso nel capitale sociale di un partner pubblico o privato diverso dagli Enti Locali, scelto mediante una procedura ad evidenza pubblica tra imprenditori industriali operanti nello specifico servizio pubblico oggetto di affidamento.
La commissione UE tra il 1999 ed il 2000 contestò allo Stato Italiano che la forma di gestione dei servizi pubblici costituita dall’affidamento diretto a società miste, prevista dalle leggi nazionali sopra citate (e la cui legittimità era confermata dalla giurisprudenza amministrativa), era in contrasto con l’ordinamento comunitario.
Recependo le contestazioni della Commissione UE, il Ministero dell’Ambiente diramò nell’Ottobre Novembre 2001 varie circolari, invitando le Pubbliche Amministrazioni a non affidare i servizi pubblici a società miste.
In pratica, un organo dello Stato Italiano invitava gli enti locali a non applicare la legge dello Stato! Atteggiamento questo che appare di per sé già sconcertante.
Ed era ancora più sconcertante se si considera che in realtà nessuna normativa statale o comunitaria sanciva l’obbligo per gli enti locali di espletare la gara per la scelta del partner, e tantomeno ne prevedeva la disciplina.
La giurisprudenza, sia della Corte di Giustizia UE, sia del Consiglio di Stato, ha affermato che nessuna norma vincolante e direttamente applicabile sancisce tale obbligo, obbligo che si desume dai principi desumibili dal Trattato UE, ai quali debbono essere uniformati i bandi di gara.
Si tratta in particolare dei principi di pubblicità, trasparenza, non discriminazione, volti a tutelare la partecipazione di imprenditori italiani ed esteri, in regime di effettiva concorrenza.
Ciò è tanto vero che la "Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario" (2000\C 121\02) pubblicata sulla GUCE del 29.4.2000, esplicitamente afferma che le Direttive in tema di servizi (92\50 e successive modifiche), e settori speciali o esclusi (93\38 e successive modifiche) non sono applicabili all’affidamento dei servizi pubblici, ma solo all’appalto dei servizi, fatta salva la necessità di rispettare i principi generali del Trattato (obbligo di trasparenza, non discriminazione, etc.)(cfr.
anche Corte di Giustizia UE 7.12.2000, C 324\98, Teleaustria).
Quanto alla normativa nazionale soltanto il DPR 16.9.1996 n.533 prevedeva una precisa procedura riguardo alla scelta del socio di società miste, rinviando al D.Lgs.n.157\1995. Tuttavia è pacifico che tale norma concerne unicamente le società a capitale pubblico minoritario, e che pertanto essa non è direttamente applicabile alla scelta del socio di minoranza nelle società a capitale pubblico locale prevalente. Essa può quindi trovare applicazione soltanto se espressamente richiamata dagli enti locali, ma non è di per sè applicabile (cfr.
Cons.St. sez.V, 3 settembre 2001, n. 4586).
E’ perciò curioso che lo Stato Italiano (tale deve considerarsi il Ministero dell’Ambiente!) anziché difendere la leggi dello Stato di fronte ad infondate contestazioni della Commissione UE, preferisse invitare gli enti locali a disapplicare la legge italiana.
Ma ancora più sconcertante è il resto della storia.
Dopo appena due mesi infatti il Governo inserì nella legge finanziaria disposizione dell’art. 35 della Legge l.n.448 del 29.12.2001, che innovò fortemente su questa materia.
Tale disposizione infatti prevedeva che l’erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza industriale, dovesse essere svolta in regime di concorrenza, “con conferimento della titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica” (cfr.
nuovo testo dell’art. 113 del D.Lgs. n.267\2000 come sostituito dall’art. 35 della L.F.).
Restava esclusa ogni altra forma di gestione dei servizi pubblici locali.
Unica eccezione alla disciplina generale ora esposta era costituita all’affidamento del servizio idrico integrato ex l. 5.1.1994 n.36, per il quale l’art.35 comma 5 della l.n.448\2001 consentiva l’affidamento diretto a società controllate dagli enti locali, ma in via eccezionale e temporanea per diciotto mesi, a condizione che venisse espletata una procedura ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato entro due anni dall’affidamento, pena la perdita immediata dell'affidamento del servizio alla società da essi partecipata.
Con nota C(2002)2329 in data 26.6.2002, la Commissione UE chiese allo Stato Italiano di fornire chiarimenti in merito ad alcune disposizioni dell’art.35 della l.n.448\2001, e segnatamente a quelle nelle quali si continuava a prevedere la possibilità di affidamenti diretti senza espletamento di procedura di gara, tra cui anche l’art.35 comma 5, relativo all’affidamento del servizio idrico integrato, del quale abbiamo parlato poc’anzi.
La procedura di infrazione non ha mai avuto seguito.
Il Ministero dell’Ambiente però ha insistito diramando numerose altre circolari, tutte impostate sulla procedura di infrazione comunitaria, e sempre invitando gli enti locali a non applicare la legge dello Stato, e cioè l’art.35 comma 5 della l.n.448\2001.
A questo punto della storia sembrava ormai che lo Stato Italiano avesse condiviso le contestazioni mosse dalla Commissione UE, e che pertanto l’affidamento diretto a società miste dovesse sparire dal nostro ordinamento perché in contrasto con –per altro inesistenti- normative comunitarie.
Non è così.
Quell’affidamento diretto a società miste, fino a ieri osteggiato come nemico della concorrenza e del mercato, fino alla minaccia di responsabilità contabili e penali, improvvisamente è risorto dalle ceneri!
Infatti l’art.113 del D.Lgs.n.267\2000 è stato di nuovo radicalmente innovato dal DL n.369\2003, convertito in legge n.325\2003 e da ultimo modificato dalla l.n.350\2003.
La nuova legge consente ora tre forme di gestione dei servizi pubblici locali:
· la gare per l’affidamento del servizio a terzi,
· l’affidamento diretto a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche
· ed infine, addirittura i c.d.
affidamenti in house, a società pubbliche al 100%, strettamente e rigorosamente controllate dagli enti locali, e che svolgano nel territorio dei comuni soci la propria attività prevalente.
Non interessa certamente in questa sede sostenere la bontà dell’una o dell’altra forma di gestione dei servizi pubblici locali, ognuna delle quali ha probabilmente la sua ragion d’essere, proprio perchè si tratta di servizi che coinvolgono rilevanti interessi pubblici.
E’ però certo che, seppure con inevitabili dubbi interpretativi e problemi applicativi, finalmente il legislatore ha deciso di stabilire in modo (ragionevolmente) chiaro cosa gli enti locali possano fare per organizzare i loro servizi pubblici.
Il che contribuisce alla certezza del diritto e garantisce perciò la tutela degli utenti ed in generale dell’interesse pubblico.
Si tratta di vedere ora cosa succederà.
Cosa farà la Commissione UE?
Ed il Ministero dell’Ambiente?
Quest’ultimo ha già annunciato battaglia sulla stampa, sulla base di un’ardita interpretazione della legge, tendente a toglierle portata applicativa.
Tutto fa pensare che la storia non sia finita qui. Con buona pace per gli operatori del settore, ed in primo luogo per gli enti locali che devono organizzare i loro servizi, e soprattutto degli utenti che vedono rimandata nel tempo quella gestione efficiente, efficace ed economica che dovrebbe permettere, entro qualche anno, di fare un salto di qualità ai servizi pubblici locali.
E che invece chissà quando vedremo attuata.