Tratto dal romanzo di Patrick McGrath, l’adattamento per il grande schermo di “Spider”, rappresenta, da “La zona morta” e “Il pasto nudo” fino a “Crash” ed “Existenz”, l’ultima ricerca del regista canadese David Cronenberg nell’esplorare i limiti oscuri tra la mente e il corpo.
Il film, ambientato nella Londra popolare dell’East End tra gli anni ’60 e ’80, racconta/rievoca la tragedia familiare attraverso gli occhi/mente di un ragazzino/uomo schizofrenico, Dennis Clegg (Bradley Hall), ovvero Spider, che vede morire la propria madre (Miranda Richardson) per mano del padre (Gabriel Byrne) e sostituire la stessa con una donna dai facili costumi (Miranda Richardson).
Molti anni dopo e ormai adulto (Ralph Finnes), Spider, uscito dal manicomio in cui era stato internato, torna nel quartiere dove è nato e si capisce quale strage sia stata realmente commessa.
Terzo film dedicato ad un insetto, dopo “La mosca” e “M. Butterfly”, “Spider” ci introduce sin dalle prime immagini, ovvero “le macchie di inchiostro” di Rorschach come pitture scrostate su un vecchio muro, nei meandri atemporali della devianza mentale e della schizofrenia. Un film senza dubbio cerebrale ed essenziale, come le poche parole pronunciate da Spider, intrappolato nella propria ragnatela mentale.
Cronenberg continuamente ossessionato dall’“orrore della personalità”, celebra magistralmente in questo film la follia della mente (e del corpo) attraverso una descrizione del personaggio e dell’ambiente circostante estremamente precisi (vicini al primo David Lynch di Eraserhead).
Dall’inquietante gasometro, che incombe enorme fuori casa, alla finta tela, rappresentazione iperbolica con cui Spider controlla la madre; dal calzino segretamente conservato dentro i pantaloni al ridere sguaiato e irritante della volgare prostituta, il film cattura lo spettatore in una ipnotica e poco rassicurante ragnatela, questa volta non di un eroe giusto e positivo, ma di un folle, rappresentazione oscura della personalità umana.
[A.
V.]