Al concerto di Cesaria Evora che si è esibita ieri sera a Sesto, al Parco di Villa Solaria, si ascoltano storie di vecchi esploratori e lupi di mare, storie d'amore e di vita. Gli amanti dei dischi precedenti di Cesaria Evora non sono mancati alla serata, ma anche chi non conosce l'artista capoverdina ha gradito l'atmosfera.
Giunta all'età di cinquantasei anni (è nata a Midelo, Capo Verde), Cesaria Evora è unica e irripetibile nel porgere le melodie delle Mornas e coladeras con fascino, melanconia e "saudade".
Ma con questa tournée l'obiettivo evidente è proporla in una chiave internazionale. Quando sale sul palco ad attenderla non c'è più un gruppo folklorico, ma un complesso di 12 elementi, con sezione d'archi, fiati, 4 chitarristi, due percussionisti e il pianoforte, lo strumento principe della tradizione orchestrale europea. E i suoni, il ritmo, l'impasto musicale vanno di conseguenza. Missaggio, orchestrazione, libertà (scarsa) dei solisti, tutto calibrato per esaltare le doti evocative dell'eroina musicale.
Che ormai guarda a testa alta ad altri modelli, ai Madredeus portoghesi, o ad Ornella Vanoni dei tempi brasiliani, ad Amalia Rodriguez, per finire citando Billie Holiday, come ha fatto un critico pariginio, dopo un suo entusiasmante concerto all'Olympia.
Eppure il personaggio non dimentica le sue abitudini. In un'ora e trenta di canzoni trova pure il tempo per una pausa in scena. E prima di attaccare il brano più impegnativo in duetto col pianoforte, manda via i musicisti chiamandoli per nome, si appoggia alla coda del piano, estrae un pacchetto di sigarette e se ne accende una.
Poi, tra una boccata e l'altra, si mette a parlare col pubblico fiorentino, e accettando l'invito in portoghese, fa offrire dal pianista agli spettatori le ultime sigarette rimaste. Sta forse tutta qui la Morna? Struggente poetica dell'addio, della lontananza, dell'amore perduto, coniugata su melodie che riecheggiano il fado. Dentro ci sono la storia, l'Africa madre ancestrale, la dominazione coloniale, le carestie, l'emigrazione fino a quest'arcipelago fatto anche di navi e genti d'Europa e Sudamerica.
Cesaria Evora, la piccola donna, non è solo un'artista.
Perché incarna l'anima di un piccolo arcipalago di isole sperduto a metà strada tra Africa ed Europa e che anche grazie a lei ha trovato la propria identità. La fine relativamente recente del colonialismo portoghese ha messo la nazione caboverdiana nella difficile condizione di raggiungere un'immagine accomunante la popolazione indigena e i molti immigrati dagli altri paesi ex-portoghesi: Angola e Mozambico. Nel contempo la sua collocazione nell'area socialista l'ha avvicinata molto a Cuba, ma non ha facilitato assai i suoi rapporti con i paesi europei.
Così, quando è iniziato il fenomeno dell'emigrazione, in Portogallo, in Francia, in Olanda, ma anche in Italia, le molte comunità sparse in Europa hanno trovato nella cantante la bandiera da sventolare con nostalgia ed orgoglio.