Un numero verde contro la discriminazione. Lo chiedono, in una mozione, il capogruppo della Margherita Riccardo Basosi ed il consigliere Vittorio Foti.
In particolare Basosi e Foti chiedono l'attivazione «di un numero verde, presso il Comune, per promuovere misure volte a prevenire e combattere le discriminazioni, indipendentemente dal fatto che si basino sulla razza, il genere, l'origine etnica, la confessione religiosa, le convinzioni personali, le disabilità, l'età o l'orientamento sessuale».
Con una conferenza di Stefania Fustagni sulla Donna nelle istituzioni si è concluso ieri a Fiesole il ciclo di conferenze dedicato alla condizione femminile nel Terzo Millennio.
La storia delle donne italiane, anche quella più recente, è storia di formidabili ipocrisie sociali e culturali.
Hanno conquistato il voto, imposto una morale sessuale impensabile fino a pochi decenni fa, decidono se procreare o meno, divorziano quando lo ritengono opportuno e hanno accesso ad ogni professione. Progressi importanti e irrinunciabili, se non fosse che dietro le apparenze si nascondono vincoli reali, chissà quanto risolvibili. Al punto che in materia di diritti umani, le grandi affermazioni di principio (libertà di espressione, di movimento, uguaglianza) si accompagnano, nella pratica, a sostanziali negazioni.
Prendiamo la maternità, ha spiegato con la consueta vena battagliera Stefania Fustagni, docente di Lettere Antiche all’Università di Firenze, ex parlamentare e reduce di mille scontri nel nome di un’emancipazione vera della donna.
Ospite ieri del Rotary Club di Fiesole per l’ultima delle undici conferenze sulla condizione femminile (La donna nelle istituzioni) organizzate in collaborazione con Eli Lilly Italia, Fustagni ha messo sotto accusa 50 anni di politica sociale: “Che se ne fa un’italiana”, ha detto, “di una solida cultura, di una laurea splendida, di un lavoro straordinario e della libertà di mettere figli al mondo se poi non trova uno straccio d’asilo dove lasciarli? Perché meravigliarci se oggi in Italia non si fanno più bambini”.
Il deficit demografico italiano diventa dunque paradigma di una condizione femminile tanto affrancata in superficie, quanto in sostanza prigioniera della tradizione.
Tradizione che condanna la donna ai ruoli sempiterni di amante, moglie, madre, ancella, preda della volontà politica e dei meccanismi di una società profondamente maschilista che non accetta di darsi un’organizzazione capace di creare autentica libertà e uguaglianza.
La lezione di pensatrici come Hanna Arendt, Ingrid Stein, Simone Weil si lascia chiaramente sentire in queste riflessioni, in particolare laddove si fa coincidere la mancanza di possibilità concrete con la negazione di fatto dei diritti umani.
All’origine, ha ricordato Fustagni, c’è una scelta politico-economica precisa, quella di non investire sulla donna, a cominciare dai servizi sociali. “Una scelta”, ha aggiunto, “che testimonia da sola quale sia il reale potere delle donne nelle nostre istituzioni. Non abbiamo donne primo ministro, ma neppure titolari di dicasteri importanti. Tesoro, esteri, difesa, interni sono patrimonio esclusivo degli uomini. Alle donne toccano le briciole, per lo più in sfere ghettizzate che hanno a che fare con la famiglia o la sessualità, come appunto la legge sulla procreazione assistita appena varata in Parlamento”.
Sono fatti che non consentono obiezioni, ma che lasciano spazio a recriminazioni per nulla secondarie: “Poiché le italiane non fanno figli, si importa immigrazione dal Terzo Mondo con i gravi problemi che tutti conosciamo.
Se avessimo creduto in una politica sociale realmente ispirata ai diritti umani, avremmo reso un servizio alle nostre donne e al nostro Paese. E sicuramente non vivremmo questi giorni con le angosce che ormai ci sono familiari”.