Immigrazione: autobus dell'Ataf in Senegal

Redazione Nove da Firenze
Redazione Nove da Firenze
05 dicembre 2001 00:08
Immigrazione: autobus dell'Ataf in Senegal

Una dozzina di autobus Ataf funzionanti e revisionati andranno in Senegal ad incrementare le reti di trasporto delle città africane. Oggi l'Ataf ha formalmente accolto la proposta lanciata dall'assessore all'immigrazione Marzia Monciatti e insieme al console della repubblica del Senegal Eraldo Stefani e al presidente dell'Aiped per l'Italia Gaspare Giallo, hanno siglato il protocollo che dà il via alla procedura di consegna dei mezzi. Far gli obiettivi dell'intesa siglata oggi pomeriggio, oltre al rafforzamento dei legami il Comune e il Senegal, anche l'impegno allo scambio di esperienze formative, con stage di formazione professionale nel settore meccanico.

"E' importante , - ha specificato l'assessore all'immigrazione marzia Monciatti il Vice presidente dell'Ataf Stefano Marmugi- che ci siano persone che imparino la manutenzione di questi autobus che hanno componenti meccaniche ed elettroniche". Per questo sono previsti presso Ataf stage di formazione professionale per i senegalesi già presenti nel territorio e per quelli che appositamente vorranno venire dal Senegal. "Il percorso formativo - ha proseguito Marmugi- prevede un passaggio tecnico importante in previsione dell'aumento della componentistica elettronica dei nuovi mezzi rispetto a quelli più vecchi" "Si tratta , - ha aggiunto l'assessore Monciatti- di un ulteriore passo in direzione della cooperazione, della solidarietà e della lotta contro la povertà, per sviluppare rapporti improntati al dialogo fra i popoli, la conoscenza.

Per questo non solo è importante implementare la rete di trasporti, ma anche costruire un circuito valido di formazione professionale".
Migliaia di lettere per salvare la vita ad una nigeriana di 30 anni condannata a morte nel suo paese per aver concepito un figlio fuori del matrimonio. L’appello per strappare alla lapidazione Safya Husseini Tungar-Tudu è stato lanciato dal Presidente della commissione pace Lorenzo Marzullo. «In conseguenza della legge islamica, che in Nigeria ha valore penale - ha spiegato Marzullo - fra circa un mese sarà sepolta viva in una buca fino all’altezza del seno e poi lapidata a morte dagli abitanti del suo villaggio.

Potrà allattare per 144 giorni il bambino a cui ha dato la vita e che per assurdo è diventato la sua condanna a morte». «Nel gennaio dello scorso anno - ha aggiunto il Presidente della commissione pace - l’attuale presidente della Nigeria aveva concesso l’amnistia o la commutazione della pena ai condannati a morte e sembra voglia mantenere una moratoria di fatto». «Gli Stati, le società, le comunità - ha sottolineato Marzullo che ha anche inviato una lettera al Presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo - hanno il dovere di prevenire e proteggere i loro membri da chi commette reati, ma credo fermamente che debbano farlo con mezzi efficaci, ma anche umani comunque ispirati al rispetto della vita e della dignità dell’uomo».

«La lotta per il riconoscimento e lo sviluppo di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutta la comunità internazionale - ha concluso Marzullo - ha fortemente contribuito all’avanzamento della lotta dei popoli per la loro liberazione nazionale dal giogo coloniale e per il diritto al progresso e alla pace per tutte le nazioni. Il futuro del mondo non si costruisce che con l’incontro tra le diverse culture e civiltà». Chi lo vorrà potrà scrivere una lettera, con affrancatura prioritaria, indirizzandola “al Presidente nigeriano signor Olusegun Obasanyo c/o ambasciata della Nigeria, via Orazio, 18 – 00193 Roma” o alla “National human right commission – Plot 800 Blantyre Street – Gidan Aisha – Wuse II – Abunja (Nigeria)”.
Rispettare e difendere la vita umana perché non possono esistere ordinamenti politici o religiosi che mettono in discussione questo ‘principio universale’.

Partendo da questo gli assessori alla cultura e alla pubblica istruzione del Comune di Firenze, Simone Siliani e Daniela Lastri, hanno inviato una lettera con una richiesta di grazia, a Etim Okpoyo, Ambasciatore della Repubblica di Nigeria a Roma.
Lastri e Siliani chiedono all’Ambasciatore di trasmettere questi appelli al suo Governo, sottolineando come le stesse Nazioni Unite, nel 1996, hanno dichiarato inammissibile la pena capitale. Un appello che parte dalla Toscana dove la pena di morte venne abolita già nel 1756, e per questo la nostra Regione è considerata un esempio di civiltà in tutto il mondo.
La Provincia promuoverà, d’intesa con la Regione Toscana e con i Comuni, un’indagine conoscitiva e una campagna d’informazione sui rischi e le conseguenze delle mutilazioni sessuali femminili per la vita, la salute e il benessere psicofisico delle donne.

L’ente interverrà poi nei confronti del Ministero della Sanità perché siano adottate misure tali da impedire che strutture e operatori sanitari possano praticare l’infibulazione in Italia.
La decisione è del Consiglio provinciale, che ha approvato all’unanimità una mozione sottoscritta da tutti i capigruppo delle forze politiche presenti nell’assemblea di Palazzo Medici Riccardi.
La mozione, che è stata illustrata dalla consigliera di Forza Italia Francesca Avezzano Comes, rileva che, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono circa 120 milioni le donne che nel mondo sono state vittime di una qualche forma di mutilazione sessuale.


Previste da certe culture e tollerate in certi paesi, le mutilazioni, che possono andare dall’asportazione totale o parziale degli organi genitali fino alla pratica dell’infibulazione, producono nell’immediato dolori e traumi e spesso emorragie che possono provocare, nei casi più gravi, anche la morte.
In Europa la mutilazione genitale femminile è proibita e perseguita per legge in molti Paesi. In Italia l’art. 32 della Costituzione vieta espressamente qualsiasi violazione dell‘integrità corporea della persona.

Nonostante ciò tra le 20 e le 30mila donne immigrate nel nostro Paese hanno subito una mutilazione genitale e circa 5.000 bambine corrono lo stesso rischio per il futuro.
In Toscana e nella provincia di Firenze attualmente non esiste un sistema di monitoraggio del fenomeno.

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