Henrik Vogler è un regista che si sta avviando verso una vecchiaia colma di solitudine. Un giorno, dopo la prova, resta nel teatro vuoto e si addormenta in palcoscenico, con la testa appoggiata sul tavolo di regia.
E sogna. Sogna di svegliarsi nella scena del Sogno, il capolavoro di August Strindberg.
Dal sogno emergono due donne: Rakel, una famosa attrice morta suicida che fu sua amante "un tempo", e Anna, una giovanissima attrice che è sua amante. Rakel e Anna sono madre è figlia. Entrambe hanno interpretato la stessa parte: la figlia del Dio Indra, protagonista del testo strinberghiano.
Quello che si vede sulla scena è qualcosa di strano, misterioso: una scena ambigua dove i tre personaggi, poco alla volta, raccontandosi rivivono una storia disperata e terribile.
Teatro nel teatro, quindi, oppure il "sogno di un sogno". Orchestrato da Bergman in modo da tenere gli spettatori in un costante stato di incertezza: dov'è la realtà, e dove cominciano l'immaginazione e il rimpianto?
Senza nessuna ipocrisia la messinscena di Lavia evidenzia una storia segreta, proibita, disperata e violenta dove il regista- padrone affonda disperato nella sua incapacità di amare.
È forse lui il padre di Anna ? Il teatro al quale ha sacrificato la sua vita, e la vita di tutti coloro che gli sono stati vicini, al quale ha dedicato consumandola sino all'ultima stilla tutta la sua forza creatrice diventa prigione: la prigione del fallimento. Il palcoscenico nudo, e i pochi mobili disposti a creare una scenografia spettrale, disegnano i confini impietosi di questo carcere.
Gabriele Lavia torna dunque a Bergman, che aveva già incontrato con Scene da un matrimonio, scegliendo uno dei testi più sfuggenti e onirici del regista svedese, a sfondo fortemente autobiografico, direttamente tratto dal film del 1984 con Erland Josephson, Ingrid Thulin e Lena Olin.