Più che un artista, un mito: un personaggio che da trent’anni calca i palcoscenici internazionali della musica con un sound caliente e trasgressivo. Stiamo parlando ovviamente di Willy DeVille, il musicista americano di scena con la sua band giovedì 12 luglio al Piazzale Michelangelo di Firenze, per una serata dedicata ai grandi successi del suo repertorio. Willy DeVille nasce con il vero nome di Billy Borsos nel 1953 e a poco più di vent'anni è già nella New York nevrotica ed elettrica dei Ramones, dei Talking Heads e dei Television.
E' il 1977 quando il suo esordio, “Cabretta”, vede la luce: come succede a tanti (capiterà anche a Tom Petty, tra l'altro) viene scambiato per l'ultimo punk di turno e invece è evidente che è già un soulman eccezionale. All'epoca trasferisce parte del suo nome alla band che si chiama così Mink DeVille: con questo marchio incide diversi dischi stupendi (“Return to Magenta”, 1978; “Le chat bleu”, 1980; “Coup de grace”, 1981; “Where angels fear to tread”, 1983). Nella band passano Steve Douglas (già sassofonista con Elvis), loschi figuri come i chitarristi Louie X e Ricky Borgiae l'eccellente pianista e fisarmonicista Kenny Margolis.
Spariscono tutti, insieme al nome, con “Sportin' life”, deludente album del1985. E' la volta di Willy DeVille che incide “Miracle” (1987) con Mark Knopfler (otterrà persino una nomination all'Oscar con “Storybook love”), “Victory mixture” (1990, registrato a New Orleans con musicisti storici della città come Dr. John, Leo Nocentelli, Carlo Ditta, Wayne Bennett), “Backstreets of desire” (1992, forse uno dei suoi maggiori successi commerciali, grazie alla sorprendente versione messicaneggiante di “Hey Joe”), il vampiresco “Loup garou” (1995).
Nel 1999 è la volta di “Horse of a Different Colour”, l’ultimo album che trae il titolo da un’antica espressione dei nativi originali degli Stati Uniti, per indicare qualcosa di già conosciuto ma allo stesso tempo di diverso. Il disco documenta ancora una volta la capacità compositiva di De Ville, ricca di contaminazioni R&B, Soul, Blues e di atmosfere provenienti da Memphis, New Orleans e dallo Spanish Harlem di New York. L’album è registrato nei prestigiosi Ardent Studios di Memphis e la produzione è affidata al mitico session man Jim Dickinson (Rolling Stones, Primal Scream, The Cramps).
Accantonate per il momento le cupe sonorità del precedente “Le Loup Garou”, Willy recupera quelle ballad solari e vibranti che avevano caratterizzato le produzioni degli ‘80. Per stessa ammissione dell’artista, i brani migliori dell’album sono 18 Hammers, Going Over The Hill e la grande cover di Andrè Williams Bacon Fat. La voce di Willy non ha mai suonato così viva e così black.