Il Crocifisso di Giotto e la Trinità di Masaccio tornano nella chiesa di Santa Maria Novella. Ci sono voluti dodici anni di paziente restauro per il primo e due anni di attente opere di consolidamento e recupero per il secondo, per restituire questi due capolavori alla città e a tutto il mondo. L’inaugurazione del duplice restauro avverrà questa mattina nella Chiesa di Santa Maria Novella questa mattina, e a far calare i teli sarà direttamente il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, mentre il poeta Mario Luzi saluterà questo ritorno leggendo personalmente una sua poesia.
“E’ per la città di Firenze, ma penso di poter dire anche per tutto il mondo culturale e artistico internazionale, un momento di festa perché due gioielli unici della storia della nostra civiltà ritornano a essere visibili nell’antica chiesa fiorentina”, precisa il primo cittadino di Firenze (il Comune è il proprietario della Chiesa di Santa Maria Novella). Il Crocifisso è stato realizzato da Giotto tra il 1288 e 1290. E’ una struttura lignea, alta 5,40 metri e pesa circa 430 chilogrammi.
La Trinità di Masaccio, invece, è un affresco alto oltre 5 metri ed è stato realizzato intorno al 1424. Sono due opere che hanno segnato la storia dell’arte italiana. Con il Crocifisso Giotto ha realizzato una figura profondamente naturale e umana di Cristo sulla croce; mentre l’affresco del Masaccio rappresenta uno dei massimi emblemi della cultura umanistica, nonché una delle più importanti applicazioni della ricerca prospettica. Nella Trinità l’artista ricrea, in maniera geniale, la prospettiva pittorica facendola coincidere con l'occhio dell'osservatore.
Una angolazione che "illude" l’occhio con la riproduzione di uno spazio che non esiste. Uno spazio che, però, il nostro occhio percepisce come reale. Il restauro delle due opere è stato effettuato dall’Opificio delle pietre dure di Firenze, mentre la complessa operazione di ricollocazione del Giotto è stata realizzata dalla Fabbrica di Palazzo Vecchio. La Cassa di Risparmio di Firenze ha sponsorizzato l’intervento sulla Trinità; l’Ente Cassa, invece, ha finanziato la ricollocazione del Crocifisso al centro della navata della chiesa.
Con il restauro delle opere di Giotto e Massaccio prosegue l’impegno del Comune di Firenze per la Chiesa di Santa Maria Novella. Lo scorso anno è stato inaugurato il recupero della Cappella Strozzi con gli affreschi dipinti da Filippino Lippi, mentre con gli interventi giubilari il Comune ha realizzato un recupero complessivo della basilica (circa 4 miliardi e trecento milioni) e il nuovo impianto di illuminazione (1 miliardo e 640 milioni). Per il completo ritorno della chiesa al suo antico splendore manca ancora un’opera: la Madonna Rucellai, dipinta da Duccio di Buoninsegna nel 1285.
L’opera è attualmente custodita agli Uffizi.
La duplice inaugurazione di oggi vuole essere un semplice gesto di restituzione alla città e al mondo di due bellissime e uniche opere d’arte. E a suggello della simbiosi tra arte e fede, che le due opere incarnano, abbiamo deciso di presentare il loro ritorno in Santa Maria Novella proprio in occasione della settimana Santa.
Il restauro di questi due gioielli dell’arte italiana è anche la restituzione alla città di una chiesa, che così riacquista il suo antico e unico splendore.
Santa Maria Novella è uno dei punti vitali di Firenze: rappresenta la storia della nostra città ed è anche un tassello del più complessivo mosaico della produzione artistica fiorentina. Una produzione che ha dato all’umanità capolavori di imparagonabile valore. Qui, in questa basilica, come nelle altre chiese locali e nei corridoi dei musei cittadini sono conservate opere che hanno scritto una parte importante della storia dell’arte, della sua evoluzione, del suo percorso. Come sindaco e come rappresentante della amministrazione che è proprietaria della chiesa, non posso che essere felice per questo duplice restauro.
Il Comune di Firenze ha impegnato energie umane, risorse e sforzi per arrivare a questo risultato e non a caso Santa Maria Novella ha beneficiato, negli ultimi anni, di diversi interventi di restauro, non ultimo quello della cappella Strozzi. Un impegno che non si limita alla basilica, ma coinvolge anche l’intera piazza. Il recente restauro dello storico loggiato dell’ex scuole Leopoldine, l’intervento di recupero dell’Albergo Nazionale ad opera di privati, il piano di rifacimento di tutta la piazza, sono solo alcuni esempi.
La positiva collaborazione con l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, che ha praticamente adottato la chiesa di Santa Maria Novella, spero sia foriera anche di un impegno per il recupero dell’intera piazza, a cominciare dal restauro completo del complesso delle Leopoldine.
Il restauro del Crocifisso di Giotto e della Trinità di Masaccio parla di Firenze. E’ una fotografia della nostra città: sintesi dell’incontro tra tradizione e innovazione. Un binomio in cui la conservazione delle opere del passato e strettamente connessa all’uso di tecnologie e tecniche avanzate, nonché alla ricerca e alla sperimentazione di frontiera.
Ecco, Firenze è anche e soprattutto questo: non solo città turistica, in cui basta passeggiare per strada per sentirsi già dentro un museo, ma anche punto di incontro tra cultura e specialismi, tra storia e saperi tecnici d’avanguardia. Come sindaco di Firenze e come cittadino voglio ringraziare chi ha reso possibile, con il suo lavoro e la sua professionalità, questo duplice restauro. Il mio grazie va, in primo luogo, a tutti i ricercatori dell’Opificio delle pietre dure di Firenze, ma anche alla Cassa di Risparmio e all’Ente Cassa che hanno contribuito a questo evento.
Un ringraziamento, poi, va a tutti gli uffici e le strutture del Comune che hanno lavorato con impegno per consentire i restauri e per la realizzazione di questa giornata di festa.
La storia del dipinto
L’opera, che appartiene alla attività giovanile di Giotto (realizzata probabilmente alla fine del nono decennio del Duecento, 1288-90 ca.), costituisce un momento fondamentale per la storia dell’arte italiana, in quanto in essa l’artista attua il rinnovamento della pittura italiana nel campo dello stile e dell’iconografia, realizzando una nuova figura profondamente naturale ed umana di Cristo sulla croce al posto delle precedenti immagini prevalentemente simboliche della divinità, d’origine bizantina.
Agli inizi del Duecento, infatti, si era diffuso in Italia il nuovo modello iconografico del Christus patiens, per il tramite della scuola pisana, come dimostra il grande successo di Giunta che produce varie Croci dipinte, a Pisa, a Assisi, a Bologna. Tale modello è seguito a Firenze da Coppo di Marcovaldo e, poi, da Cimabue che costituisce, con l’opera di Santa Croce, il precedente diretto con il quale Giotto doveva confrontarsi a pochi anni di distanza. La Croce dipinta da Giotto per il convento domenicano di Santa Maria Novella è, quindi, contemporaneamente un eccezionale documento della grande svolta artistica ed espressiva di Giotto e un manifesto della nuova religiosità proposta al popolo dai domenicani.
Gli elementi che concretizzano questo nuovo linguaggio sono costituiti dalla costruzione naturale e tridimensionale del grande corpo, volumetrico e gravante verso il basso che fa flettere le braccia, dalle mani curve rese in una stupenda visione prospettica e dall’espressione umana e vera della sofferenza del Cristo. L’affermazione prepotente della umana fisicità di Cristo contiene evidentemente un messaggio rivolto contro l’eresia catara, allora presente a Firenze, che condannava la realtà fisica come appartenente al male, contrapposta al mondo spirituale, secondo un manicheismo d’antica origine.
L’impegno religioso preminente dei Domenicani consisteva proprio nella predicazione contro tale eresia. Per questo qui è così sottolineato l’umano e ben concreto corpo di Cristo che vince la morte e promette agli uomini di risorgere nell’ultimo giorno nella pienezza del corpo e dello spirito. Questo straordinario capolavoro artistico è tale anche sotto il profilo tecnico: la grande croce di circa 5,40 metri di altezza è un’ottima macchina lignea, costruita secondo raffinati criteri, e la pittura ci testimonia sia la profonda conoscenza delle tecniche tradizionali da parte del giovane artista sia la sua volontà di inserire anche in questo campo alcune interessanti innovazioni.
Testo a cura dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
Il restauro, il progetto di ricerca e le novità
L’intervento, compiuto dall'Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di restauro di Firenze, ha avuto una duplice funzione: da un lato ha fronteggiato i problemi conservativi strutturali e soprattutto quelli legati alla pulitura della pellicola pittorica pesantemente alterata e ritoccata, consentendone finalmente una chiara lettura, dall’altro lato si è posto come un momento di studio e di indagine per giungere alla più approfondita conoscenza possibile di questo grande capolavoro.
Dopo la pulitura sono emersi particolari stilistici che confermano non solo la piena autografia giottesca, ma che pongono con evidenza il problema del rapporto con gli affreschi di Assisi, soprattutto quelli della fase costituita dalla personalità del così detto Maestro di Isacco che ha caratteri vicinissimi a quelli presenti in questa Croce. Per approfondire le ricerche ed impostare correttamente l'intervento di restauro sono stati compiuti degli studi che hanno coinvolto, oltre le forze interne all’Istituto (Laboratorio Scientifico), anche altri importanti Istituti di ricerca.
Tra questi si possono citare, per le indagini diagnostiche l'Istituto Nazionale di Ottica Applicata di Firenze (INOA), l'Istituto di Ricerca sulle Onde Elettromagnetiche del CNR di Firenze (IROE) e l'Ente Nazionale per le Energie Alternative (ENEA) di Roma. Fondamentale è stato il ruolo del Kunsthistorisches Institut in Florenz, diretto da Max Seidel, per l'approfondimento degli studi storico-artistici sull'opera. La scoperta più interessante compiuta riguarda la costruzione e la forma della Croce che era stata originariamente concepita e realizzata con le misure tradizionali che ritroviamo nella precedente produzione duecentesca da Giunta a Cimabue; infatti senza le successive modifiche la Croce sarebbe stata del tutto simile a quella di Cimabue a Santa Croce.
Giotto, prima di iniziare a dipingere, fa modificare le misure dell’opera per potervi inserire il nuovo tipo naturale di raffigurazione della figura del Cristo e, in un momento successivo, fa aggiungere la base trapezoidale, collocando così per la prima volta ai piedi di una Croce dipinta il calvario, fino ad allora presente solo nelle scene storiche di Crocifissione. Il dipinto passa quindi da una valenza simbolica astratta di icona ad una descrizione naturalistica e narrativa. Come possono essere interpretate tali varianti? Erano stati i domenicani a far realizzare ad un legnaiolo un supporto dalle misure allora usuali, oppure la commissione dell’opera era stata assegnata in precedenza ad un altro pittore cui Giotto successivamente subentra? E’ evidente che l’ipotesi più affascinante può prevedere un primo incarico a Cimabue, passato poi al più giovane pittore, seguendo la celebre affermazione di Dante secondo cui Giotto aveva “il grido”, avendo superato il maestro.
Di grande interesse è stata anche la scoperta, per mezzo della sofisticata tecnica di indagine della riflettografia a scanner, del disegno sottostante alla pittura, costruito con una forza ed una decisione che lascia sbalorditi, soprattutto pensando all’appartenenza dell’opera alla fase giovanile del pittore ed alla valenza fortemente innovativa della nuova figura. Il progetto di ricerca ha consentito di poter studiare altre opere del maestro ottenendo interessanti confronti sul piano della tecnica artistica di realizzazione.
In tale ambito sono stati confrontati tutti i dati tecnici di un gruppo di opere della produzione giovanile, come lo straordinario frammento di Madonna con il Bambino di Borgo San Lorenzo, la Madonna di San Giorgio alla Costa, la Croce dipinta di Rimini, le Stimmate di San Francesco del Louvre e il polittico di Badia degli Uffizi, riuscendo così a proporre nuove ipotesi sulla loro cronologia. Grazie a tali confronti tecnici è stato infatti possibile rilevare una notevole affinità tra la Croce di Santa Maria Novella ed il frammento mugellano, collocabili entrambi nello stesso periodo, stilisticamente analogo a quello degli affreschi assisiati attribuiti al così detto Maestro d’Isacco, mentre la Madonna di San Giorgio alla Costa si differenzia leggermente, avvicinandosi al periodo delle Storie di San Francesco, seguita a breve distanza di tempo dalle Stimmate e dalla Croce riminese, con le quali presenta notevoli affinità tecniche.
La ricollocazione
L’intervento di restauro è durato dodici anni.
Il luogo in cui l’opera è stata collocata è stato determinato sulla base delle ricerche storico-scientifiche effettuate da Marco Ciatti, Direttore del settore Restauro Dipinti dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. La base del Crocifisso sfiorerà la linea ipotetica del margine superiore del ponte, o coro, distrutto dal Vasari nella seconda metà del Cinquecento, al centro del quale il Crocifisso era appoggiato in ostensione. Nel progetto per la ricollocazione dell’opera, redatto da Ugo Muccini, architetto e dirigente del Servizio Fabbrica Palazzo Vecchio e Chiese, è stata volutamente evitata la ricostruzione di volumetrie che rappresentassero il coro distrutto, per limitarsi a suggerirne le proporzioni e la posizione sospendo il Crocifisso al di sopra del suo margine superiore, che doveva avere un’altezza da terra compresa fra i quattro metri e i quattro metri e mezzo.
Tale scelta è stata determinata dalla volontà di operare una ricostruzione ipotetica della posizione della Croce nel luogo della sua destinazione originale, senza impedire la fruizione degli interni della basilica così come sono attualmente, frutto sia della ristrutturazione vasariana sia di quella operata nell’Ottocento dal Romoli. L’opera così ricollocata completa ed esalta l’arredo artistico di Santa Maria Novella che, grazie anche al restauro architettonico decorativo degli interni, compiuto in occasione del Giubileo dal Servizio Fabbrica Palazzo Vecchio e Chiese nel 1999, ne è la superba cornice.
L’opera verrà sospesa nel luogo prescelto tramite una struttura metallica che la reggerà senza viti o chiodi. Questa struttura è collegata ad una tige d’acciaio che sospende l’opera dall’alto della volta, tramite un foro preesistente che attraversa la volta in corrispondenza del centro della vela della crociera della seconda campata di copertura della navata centrale, nella porzione in cui la vela è a ridosso dell’arcata trasversale corrispondente. Nel sottotetto è stato installato un meccanismo che permette l’abbassamento eventuale dell’opera fino al pavimento, per tutte le operazioni di manutenzione ordinaria.
La struttura cui è assicurato il Crocifisso è stata progettata nel suo insieme per individuarne il baricentro tramite meccanismi di regolazione semplici ed efficaci, collocandolo in tutta sicurezza e nella posizione voluta, lievemente inclinata in avanti lungo l’asse longitudinale, com’era quando ancora si elevava dal coro distrutto.
L’Ente Cassa di Risparmio di Firenze ha finanziato l’intera opera di ricollocazione per un costo totale di L.150.000.000.
La storia dell’affresco
La Trinità fu dipinta da Masaccio, probabilmente nell'anno1424, sulla parete della terza campata nella navata sinistra della chiesa di Santa Maria Novella in Firenze, dove oggi, alla fine di diverse vicende, si trova.
L'opera si pone sicuramente come uno dei capisaldi dell'arte occidentale, uno dei massimi emblemi della cultura umanistica e, con buona certezza, la pittura su muro che più mostra i segni della ricerca prospettica al limite dell'esasperazione. Giorgio Vasari la cita come opera notevole nella "vita" del pittore. Ciò non gli impedì comunque di occultarla alla vista, un secolo e mezzo dopo la sua esecuzione, quando, nelle vesti di responsabile dei monumenti del Granducato, ebbe l'incarico di dare un volto "moderno" alla chiesa domenicana.
Fu così infatti che venne addossato alla pittura un grande altare in pietra che ovviamente si ammorzava profondamente nella parete. Quindi gran parte della pittura venne distrutta in questa operazione ed il resto fu coperto da una pala d'altare. La pittura masaccesca ritornò alla luce alla metà del XIX secolo, quando si decise di togliere gli altari cinquecenteschi per sostituirli con altri più "in stile" con l'edificio. Il restauratore Gaetano Bianchi staccò quindi la pittura, la fornì di un nuovo supporto e la collocò nella controfacciata.
Alla metà del secolo scorso furono scoperte sulla parete della navata tracce della pittura staccata e l'intera immagine della Morte (zona inferiore e terminale dell'affresco): si ritrovava così l'esatta collocazione dell'opera. L'affresco staccato venne quindi restaurato e ricollocato al suo posto dal restauratore Leonetto Tintori, che conservò comunque in quell'occasione il supporto e le aggiunte pittoriche dell'Ottocento, eseguite in sostituzione della molta pittura ormai perduta.
Il restauro
Masaccio realizzò la Trinità in 27 giornate di lavoro, sostanzialmente a fresco, con le consuete eccezioni per la stesura delle campiture ad azzurrite e per l'applicazione delle lamine metalliche delle aureole, poste sull'intonaco secco per mezzo di leganti organici.
La trasposizione del disegno sull'intonaco è affidato alla battitura di corda e all'incisione diretta. Lo stato di conservazione dell'affresco, decisamente non buono, è in gran parte da attribuire alle vicissitudini storiche che l'opera ha attraversato. L'inserimento dell'altare vasariano distrusse praticamente tutta l'incorniciatura della scena sacra e provocò grandi lacune che interessano i due donatori e la Vergine. I tre secoli in cui la pittura superstite rimase racchiusa, in uno stretto spazio, dietro la tavola d'altare accumularono certo su di essa molto sporco, che aveva agio di attaccarsi alle asperità naturali dell'intonaco nonchè alle rotture provocate nei lavori cinquecenteschi.
Oltre a ciò sulla pittura scorrevano, e ristagnavano, le infiltrazioni di pioggia provenienti dalla soprastante finestra. Sulla pittura di Masaccio infatti si leggono oggi le conseguenze di questo (soprattutto nella generale abrasione della superficie, nella debolezza della pellicola pittorica e nella instabilità di alcuni pigmenti) oltre ad altri fenomeni simili ma meno facilmente spiegabili. Tra questi è notevole, al centro dell'affresco, la forte abrasione provocata da un rapido processo corrosivo di un liquido colato dall'alto (con molta probabilità una sostanza acida usata per pulire il frontone in pietra dell'altare).
Quando nel 1859 l'affresco fu staccato subì ancora gravi danni. Esso si presenta infatti straordinariamente abraso nella metà superiore e completamente frantumato in quella inferiore. Le tante rotture dell'intonaco danno ancor oggi alla pittura un aspetto discontinuo e non planare, tale da favorire, oltretutto, l'accumulo di sostanze estranee e deturpanti. Il restauratore ottocentesco provvide inoltre solo ad una sommaria pulitura dell'opera, tanto sporca da mostrare i suoi colori originali molto falsificati: cosa che lo portò inevitabilmente a "sbagliare" la cromia delle reintegrazioni delle lacune.
Se la pulitura fu sommaria il consolidamento della pellicola pittorica fu invece consistente ed effettuato a base di uovo e olio. Queste sostanze, probabilmente aggiunte anche in seguito, furono infatti ritrovate sulla superficie del dipinto durante il restauro del 1950, insieme a residui della colla usata nel distacco ottocentesco, e correttamente individuate dal restauratore Leonetto Tintori come responsabili dell'estremo decadimento della pittura, in cui il colore si mostrava in gran parte sollevato e prossimo a cadere.
Il restauro del 1950 si indirizzò quindi prevalentemente a bloccare il gravissimo problema delle cadute di colore e a rimuovere, per quanto possibile, le sostanze estranee presenti sulla superficie. Ma una cospicua parte di tali sostanze restò comunque sulla pittura, amalgamandosi nel tempo con molto sporco comune, molte sostanze inquinanti (sali di vario genere) e materiali organici vari (i fissativi del 1950, fumo di candela, idrocarburi incombusti). Tutto ciò aveva dunque ricreato, al momento del nostro restauro (iniziato due anni fa, primavera 1999), un consistente strato eterogeneo, fonte di tensioni pericolose, a lungo andare tendenzialmente distruttive per ciò che restava della già tanto martoriata pittura di Masaccio.
Nostro compito è stata quindi sostanzialmente la rimozione attenta, accurata e differenziata delle sostanze sovrammesse agli elementi pittorici originali; si è quindi proceduto al consolidamento (tramite materiali minerali) della superficie, resa molto porosa dalle varie vicende conservative, e di alcune stesure cromatiche, molto indebolite e quindi instabili. La necessaria reintegrazione pittorica, anch'essa attenta e differenziata, ha completato l'intervento.
Il celebre affresco di Masaccio, risanato e liberato da ciò che gli era improprio, deturpante e dannoso, offre ora un volto sicuramente più autentico, pur nella sua frammentarietà, ed anche nuove chiavi di lettura storiche, artistiche e scientifiche.
La storia della Chiesa di Santa Maria Novella
Il 20 novembre del 1221 i domenicani presero possesso dell'antica chiesa di Santa Maria Novella che era stata fino ad allora di patronato dei canonici del Duomo, come risulta dal più antico dei documenti che la riguardano e che risale al 983.
Nel 1288 la Repubblica donò ai domenicani il terreno per aprire la nuova grande piazza, terminata presumibilmente verso il 1325, che ancora oggi è una delle maggiori della città. La sistemazione del campanile risale al 1330 quando sembra fossero già realizzati il coro antistante, la cappella maggiore ed il massiccio tramezzo o ponte a due piani che divideva la parte della chiesa, riservata ai frati, da quella destinata ai fedeli e che ospitava ben otto cappelle o altari, quattro sopra e quattro sotto.
Nel 1350 la costruzione della prima grandiosa chiesa gotica di Firenze era certamente ultimata, comprese la cappella Rucellai e quella degli Strozzi, oltre le due testate del transetto, nonché la sagrestia, fatta edificare dai Cavalcanti. Poco dopo il 1364, con il compimento della cappella degli Ubriachi, tra il chiostro Verde e il chiostro Grande realizzati nel frattempo insieme a tutti gli altri edifici ad essi circostanti, ebbero fine anche i lavori nel convento. L'intero complesso, così, nel terzo venticinquennio del secolo raggiunse la sua massima estensione grazie alle innumerevoli e ricche donazioni di molte tra le più importanti famiglie fiorentine e all'opera dei due frati architetti domenicani Giovanni da Campi e Iacopo Talenti.
La consacrazione della chiesa, però, risale al 1420 e fu fatta da Papa Martino V il 7 di settembre. I lavori per la sistemazione definitiva della facciata, cominciati nel 1456 a spese della famiglia Rucellai e su progetto di Leon Battista Alberti, furono conclusi nel 1470. Nel 1565 cominciò l'imponente ristrutturazione operata da Giorgio Vasari per volere di Cosimo de' Medici il quale dispose il riordino dell'edificio ecclesiale secondo quanto si stava stabilendo al Concilio di Trento, onde ottenere i favori del pontefice domenicano Pio V e con essi la corona granducale.
Per prima cosa fu fatto un elenco della parti da rinnovare e fu deciso l'abbattimento del ponte, del coro e delle antiche cappelle per costruire i nuovi altari monumentali, uno per campata e due addossati alla controfacciata, allineati lungo le pareti delle navate e che sarebbero stati poi consacrati tra il 1577 e il 1578. Le finestre furono ridotte in altezza, allargate e incorniciate; le pareti imbiancate e gli affreschi antichi scialbati, distrutti o nascosti dietro i nuovi altari. Così fu nascosta anche la 'Trinità' di Masaccio ritornata soltanto da pochi decenni nel suo luogo originario e fatta per essere vista dalla porta di accesso alla chiesa, dalla parte del cimitero degli Avelli, anch'essa murata dal Vasari.
Per fare un altro accesso alla chiesa dalla parte della navata orientale, nella parete della quarta arcata furono abbattuti due avelli ed aperta una porta nel cui vano, oggi richiuso, è venerata la statua della 'Madonna del Rosario'. Accanto si vede ancora l'acquasantiera che vi fu messa al tempo del Vasari e fatta fare da Bartolommeo Cederni.
Ad opera di Ignazio Danti, frate domenicano e cosmografo granducale, sulla facciata furono collocati due strumenti astronomici: il quadrante di marmo, nel 1572, e l'armilla equinoziale, nel 1574.
Il restauro degli interni
Il restauro della chiesa è iniziato nel gennaio 1999 ed è stato ultimato nel dicembre dello stesso anno.
Il costo complessivo è stato di 4 miliardi e 291 milioni di lire. L'intervento ha interessato tutte le pareti e le volte intonacate della basilica, i pilastri, il pulpito brunelleschiano, il pavimento ottocentesco, i monumenti funebri e le lapidi commemorative e il sepolcro di Paolo Rucellai. Sono stati restaurati anche le decorazioni e gli armadi della Sagrestia, nonché la magnifica Cappella Strozzi con gli affreschi di Filippino Lippi, .mentre sono rimaste escluse dagli interventi di recupero le Cappelle del transetto.
Oltre alla pulitura sono stati effettuati alcuni interventi di consolidamento dei materiali di intonaci, decorazioni, monumenti funebri e materiali lapidei.
Il restauro della Cappella di Filippo Strozzi
I lavori di restauro realizzati per il Giubileo 2000 sono stati finanziati dall'Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Il costo complessivo è stato di 467 milioni di lire.
La Cappella di Filippo Strozzi, con il ciclo pittorico dipinto da Filippino Lippi e il monumento funebre ad arcosolio scolpito da Benedetto da Maiano, è un'opera di fondamentale importanza per la storia dell'arte universale e costituisce senza dubbio una delle principali attrattive della basilica di Santa Maria Novella.
Il ciclo di affreschi raffigura le storie di San Filippo e di San Giovanni. Fu dipinto nella Cappella di Filippo Strozzi, fra l'ultimo decennio del 1400 e i primi anni del 1500. L'opera è particolarmente significativa poiché conclude l'evoluzione della pittura fiorentina del Quattrocento e preannuncia gli elementi stilistici che caratterizzeranno il manierismo. Gli affreschi nella parete sinistra della Cappella raffigurano la storia di San Giovanni che resuscita Drusiana, mentre quelli sotto la lunetta rappresentano Il Martirio di San Giovanni.
Nella parete destra si trova, invece, la storia di San Filippo che scaccia il demonio, lunetta superiore Il martirio di San Filippo. La grande vetrata collocata nella parete di fondo, eseguita su disegno di Filippino, è inquadrata in un'architettura di grande effetto dipinta in dicromia. Sullo sfondo spiccano alcune figure policrome di contorno. Un effetto che sembra preannunciare gli illusionismi spaziali del quadraturismo barocco. Alla base di questa parete è collocata la tomba di Filippo Strozzi, entro un monumento funebre ad arcosolio, che Benedetto da Maiano eseguì fra il 1491 e il 1495.
L'arco e i modellati del tondo con la Madonna col Bambino e quegli degli angeli sono in rilievo e in marmo bianco di Carrara, mentre lo sfondo del mischio di Cintoia è rosso. L'accostamento delle diverse cromie mette in risalto le figure modellate e sottolinea la presenza del sarcofago in basanite nera, posto alla base del monumento.
Della tomba faceva parte il busto di Filippo Strozzi, oggi al Louvre.
Impianto di illuminazione e i chiostri
Il nuovo impianto elettrico e di illuminazione è stato realizzato per il Giubileo 2000.
Il finanziamento è stato di 1 miliardo e 639.566.380 di lire. La chiesa era dotata di impianti obsoleti e malfunzionanti che avevano necessità di essere adeguati alle normative vigenti, mentre il sistema di illuminazione era inadeguato ad offrire una corretta visione dello spazio architettonico e delle opere d'arte.