La mostra sarà aperta dal 22 gennaio, con orario 9.30 -12.30 / 15.00 - 18.30 (chiuso il martedì e domenica ore 9.30 - 12.30).
Dopo un restauro che ha comportato un impegno decennale da parte dell'Opificio delle Pietre Dure, verranno restituite al Museo dell'Opera del Duomo le formelle del pergamo realizzato da Donatello e Michelozzo tra il 1428 e 1438.
Per comprendere l'importanza di questi rilievi può essere utile ripercorrere brevemente le vicende che portarono alla creazione di quel pergamo del Duomo di Prato che aggetta arditamente tra la facciata e il fianco destro dell'edificio, "come un grande nido", secondo la poetica immagine di Gabriele D'Annunzio.
L'elegante struttura rinascimentale fa parte di una straordinaria via aerea che era insieme percorso blindato e percorso espositivo.
Fu infatti realizzato nell'ambito di un progetto finalizzato alla custodia e all'ostensione della preziosa reliquia conservata nella cattedrale pratese, la Cintola della Madonna che una leggenda vuole portata dalla Terrasanta nel XII secolo dal pratese Michele Dagomari. Si trattava, secondo la tradizione, della cintura che la Vergine, in atto di assurgere al cielo, avrebbe lanciato all'apostolo Tommaso.
Oggetto di venerazione, ma anche motivo d'orgoglio civico, la Cintola venne sempre custodita con particolari cure, soprattutto dopo un tentativo di furto avvenuto nel 1312, che suscitò grande emozione in città.
Per tutelare il prezioso oggetto a partire dall'ultimo decennio del Trecento vennero intraprese iniziative di grande impegno finanziario come la costruzione di una cappella sul fianco sinistro della chiesa destinata alla conservazione della reliquia, la realizzazione di una nuova facciata, poco distante da quella antica, romanica, in modo da creare un'intercapedine dove passare in tutta sicurezza, un pulpito interno e infine un nuovo pulpito esterno in sostituzione del precedente, trecentesco, per mostrare al pubblico radunato sulla piazza, la sacra Cintola.
Responsabili dell'impresa furono Donatello e Michelozzo, allora uniti in società, che nel 1428 stipularono un contratto, che fu onorato solo dieci anni più tardi. Infatti i lavori procedettero a rilento, anche a causa di impegni che trattennero i due artisti fuori Firenze. Si ritiene che nel 1432 fosse completata la parte architettonica del pergamo, la cui ideazione viene di solito attribuita a Michelozzo, cui dovrebbe spettare anche il capitello bronzeo posto sul pilastro in prossimità dello spigolo (1433).
Tra il 1434 e il 1438 Donatello eseguì, con ulteriori ritardi e interruzioni e col probabile concorso di aiuti, le sette formelle scolpite con angeli danzati. Lavoro di grande impegno concettuale ed esecutivo in quanto l'artista immaginò gruppi di angeli danzanti, resi con vivo effetto di moto e con varietà di atteggiamenti, riuscendo a rendere la fresca gioia di una presenza infantile nel contesto della festa in onore della Madonna.
Le formelle, la cui superficie è stata profondamente alterata dalla lunga esposizione agli agenti atmosferici e dall'inquinamento, verranno ricollocate in un ambiente climatizzato, che rappresenta uno dei contesti museali più controllati dal punto di vista climatologico tra quelli esistenti nel nostro Paese.
Il pulpito marmoreo destinato all'esterno del Duomo di Prato fu commissionato a Donatello e Michelozzo, all'epoca consociati in un'unica bottega, nel 1492 e posto in opera nel 1438.
Nel 1970 le sette formelle del parapetto, scolpite a bassorilievo con una danza di putti alati, furono smontate a causa del pessimo stato di conservazione e ricoverate definitivamente nell'attiguo Museo del Duomo; nell'occasione i rilievi furono calcati, per ricavarne copie in vetro resina da sostituire agli originali.
La sistemazione in interno dei preziosi rilievi non è risultata tuttavia da sola sufficiente a garantirne la conservazione: minuscoli frammenti marmorei continuano a distaccarsi dalle superfici tuttora offuscate dai depositi di sporco, dal momento che all'atto dello smontaggio delle formelle non ne era stata attuata la pulitura, operazione necessaria non solo ai fini del recupero estetico di un'opera, ma anche quale passaggio obbligato al suo risanamento.
A questo scopo una prima formella, quella che appariva in peggiori condizioni, fu smontata e avviata al restauro nel 1990 a cura dell'Opificio delle Pietre Dure, che su questo rilievo ha condotto le prime indagini diagnostiche e messo a punto la metodologia di intervento, che ha poi indirizzato il restauro delle altre sei formelle, ritirate dal Museo in gruppi di tre, nel 1996 e nel 1997.
Per capire le condizioni specialmente drammatiche di questi marmi si è cercato di ricostruirne, fin dove possibile, la vicenda dei restauri precedenti, che hanno poco influito sullo stato attuale delle formelle: all'azione degli agenti atmosferici ( fra i quali soprattutto la forte insolazione dei mesi estivi ha determinato lo stato di "cottura" del marmo ed il crearsi di estese craquelures nelle superfici), si è aggiunto una pulitura, forse con acidi, realizzata nel 1894; un energico lavaggio con getti d'acqua nel 1934; un consolidamento con fluosilcati di magnesio nel 1941, cui fece seguito uno smontaggio per motivi di sicurezza antibellica, il conseguente rimontaggio nel 1946 e nell'occasione un nuovo trattamento consolidante con una resina acrilica.
In occasione della calcatura delle formelle, successiva al definitivo smontaggio, le vulnerabili superfici furono nuovamente consolidate con sostanze acriliche, che hanno peraltro impedito che gli olii presenti nelle gomme siliconiche usate per l'impronta penetrassero in profondità, come ha accertato la recente campagna diagnostica.
Le varie sostanze di cui i marmi sono irreversibilmente impregnati e la loro estrema fragilità hanno reso specialmente difficoltoso l'attuale restauro: per la pulitura dei depositi, divenuti resistenti a causa di ripetuti consolidamenti, dopo varie prove con solventi e con mezzi meccanici, si è fatto ricorso, come unico mezzo efficace, al laser, che ha consentito anche di preservare la patina giallobruna, residuo forse di antichi trattamenti protettivi, in buona parte ancora presente sotto i depositi di sporco.
La pulitura ha consentito anche di individuare con esattezza, nei fondi delle tessere musive di ceramica, le parti originarie e quelle sostituite con materiali analoghi nel secolo scorso; inoltre si è scoperta la presenza di rare ma significative tracce di doratura, applicata a missione sulle tessere originarie, che concordano con il documento di allogagione a Donatello, che prescriveva di "mettere a oro" i fondi del rilievi.
Non è invece stato possibile rimuovere il gesso, prodotto dalla solfatazione del marmo e tenacemente trattenuto dai passati consolidamenti: la pericolosa presenza di questo materiale igroscopico, sicuramente responsabile dei
distacchi di frammenti verificatisi dopo il ricovero in Museo, può essere neutralizzata solo garantendo un tasso di umidità assolutamente stabile all'ambiente dove le formelle saranno conservate.
Continuano intanto le Conferenze con visite guidate al Museo Stibbert ( Via Stibbert, 26 – Firenze) per la mostra ‘Draghi e Peonie: capolavori dalla collezione giapponese’. Si tratta di appuntamenti molto apprezzati dal pubblico che ha l’occasione di visitare la mostra, ma soprattutto di ascoltare i curatori dell’esposizione che affrontano i vari temi di una cultura lontana che da sempre ha affascinato il nostro Paese. L’appuntamento è per le ore 16 del 15 gennaio 2000, nell’Ala Nord del Museo.
Francesco Civita parlerà de ‘Il corredo del Samurai: le spade’.
Alle ore 17 inizierà la visita guidata alla mostra.
La mostra rimane aperta dal lunedì al mercoledì (ore 10-14), dal venerdì alla domenica (ore 10-18), chiuso il giovedì. Il biglietto d’ingresso costa 8000 lire (4000 ridotti) e include la conferenza.